L’isola dove soffia il vento della storia

Ogni giorno era uguale all’altro, se mai peggiore. Come quando, per via dei costosi collegamenti con la terra ferma e delle conseguenze drammatiche della guerra in corso, fu sempre più complicato far arrivare cibo e acqua su quei due chilometri quadrati, e si soffrì – letteralmente – la fame. Scenari che oggi, a distanza di 80 anni, paiono inverosimili, ancor di più davanti a un tramonto ineguagliabile a Parata grande: in cima alla strada, l’incanto del sole che si adagia sul profilo di Ponza mentre Palmarola, sulla destra, sfuma in un arancio soffuso. Alle spalle ci sono la casa rossa e, più giù, la villa bianca dove fu girato Ferie d’agosto, 27 anni fa, con Silvio Orlando ed Ennio Fantastichini a rappresentare l’eterna battaglia tra sinistra e destra attraverso l’opposta visione della vita di due famiglie.

Per i confinati – la cui quotidianità è ricostruita nel pregevole lavoro di Filomena Gargiulo Ventotene isola di confino (Ultima spiaggia 2013) – «prima di ogni altra angheria c’era l’angheria della natura. Ci si figuri una prigione messa a disposizione di un tiranno crudele, di un Dio ringhioso e vendicativo. Le nude mura e il mare. Quel mare piatto, vuoto, infinito, che vi circonda come un anello insuperabile, catenaccio di una robustezza a tutta prova, sentinella mai sonnacchiosa. (…) Quello del mare diventa presto un fondo di silenzio». Con queste parole il socialista Alberto Jacometti ci trasmette lo stato d’animo dei reclusi. Probabilmente anche lui trascorreva qualche momento nel cuore dell’isola, a piazza Castello, dove l’imponente fortezza voluta dai Borboni – in cima alla quale i fascisti avevano costruito altri due piani – era occupata dalla milizia. Oggi è la sede del Comune, vi sventolano le bandiere degli Stati europei. Sulla parete in basso, il murales che riproduce il testo del Manifesto – un’opera dell’artista Giovanni Anastasia, con la collaborazione di Valeria Iozzi – e il Vassoio dipinto da Ernesto Rossi, con personaggi e situazioni di quegli anni, ricordano a quanti passeggiano spensierati, magari dopo un giro in barca, che cosa accadde. Lo fa anche la libreria Ultima spiaggia – sempre animata, un piacere per gli occhi – guidata con sapienza da Fabio Masi, che tiene viva la memoria di quella stagione attraverso le ricerche e testimonianze ben esposte, compreso il ritratto di Ursula Hirschmann scritto da Silvana Boccanfuso.

L’ocra intenso del municipio fa il paio con il rosa e gli altri colori delle case che degradano verso il porto romano lungo stretti tornanti, o si susseguono verso la seconda piazzetta dove c’è la Chiesa, intitolata a San Candida, patrona dell’isola (è con la tre giorni di celebrazioni a lei dedicate, conclusasi lo scorso venerdì, che qui finisce l’estate), o ancora lungo la via degli Ulivi o verso Calanave, una delle due spiagge. L’altra, meno frequentata, è Cala Rossano, sulla quale veglia dall’alto il cimitero chiuso da un cancello. Un ventotenese che si ferma in raccoglimento su un sepolcro racconta che ognuno di loro ha una propria chiave, poi indica una bandiera europea mossa dall’immancabile vento: è il drappo blu che, prima ancora del nome inciso sul marmo, segnala la tomba di Altiero Spinelli. Non stupisce che abbia voluto essere seppellito qui. Né meraviglia la stele che domina la piazzetta, con impresse le sensazioni della fuga, il 18 agosto 1943: era caduto Mussolini, e con lui l’isolamento di “Confinopoli”. Su una barca sgangherata, ebbri della ritrovata libertà, abbandonarono Ventotene alla volta di Formia. Per molti di loro la battaglia non solo non era finita ma sarebbe entrata in una fase determinante dopo l’8 settembre, con la Resistenza.

Quel 18 agosto, ha poi scritto Spinelli, «guardavo sparire l’isola nella quale avevo raggiunto il fondo della solitudine, mi ero imbattuto nelle amicizie decisive della mia vita, avevo fatto la fame, avevo contemplato come da un lontano loggione la tragedia della Seconda guerra mondiale (…) avevo scoperto l’abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito», con la consapevolezza che non c’era nulla di concreto se non «per ora, oltre che me stesso, che un Manifesto, alcune tesi e tre o quattro amici».

Una nuova vita si apriva, un’epoca irripetibile si sarebbe inaugurata di lì a pochi anni, con tanti dei confinati tra i banchi della Costituente a ridisegnare l’Italia libera. Chissà a quanti sovveniva l’isola di Ventotene, «tutta soltanto fatta di luce e di colore» nei ricordi di Camilla Ravera. Colori che «nell’aria chiara della primavera hanno il massimo della limpidezza e splendore» per poi sbiadire, osserva la futura senatrice a vita, d’estate quando «si vede soltanto più la magnificenza del mare».

Fonte: Il Sole 24 Ore