Liste d’attesa, buio sui fondi: nel 2023 speso meno del 30%

Liste d’attesa, buio sui fondi: nel 2023 speso meno del 30%

Sull’utilizzo effettivo dei fondi messi a disposizione in questi anni per l’obiettivo prioritario di abbattere le liste d’attesa in sanità domina il buio fitto. E nemmeno i pochi sprazzi di luce che si aprono dopo una faticosa ricerca dei dati appaiono incoraggianti. Lo spiega la Corte dei conti nell’ampia relazione pubblicata ieri dalla sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato (delibera 90/2024, relatore Giampiero Pizziconi), che in 180 pagine tenta una complicatissima ricognizione del quadro delle liste d’attesa generate dal Covid sfociata in due esiti centrali: un monitoraggio complessivo è nei fatti ancora da costruire, perché i controlli messi in campo fin qui non hanno funzionato, e sui fondi 2023 che è stato possibile ricostruire l’utilizzo è molto parziale, e spesso scollegato all’effettiva riduzione delle liste d’attesa. Perché, in pratica, in alcuni casi le Regioni hanno utilizzato queste risorse per ridurre i disavanzi e chiudere i bilanci.

I numeri

I numeri, si diceva, non offrono ancora un censimento completo. Ma parlano chiaro. Nel 2023 i piani operativi regionali per la riduzione delle liste d’attesa create dalla pandemia avevano a disposizione due filoni di finanziamento, generato dagli stanziamenti dei due anni precedenti. Nel primo capitolo la disponibilità era di 483,87 milioni, ma la spesa reale si è fermata al 29,7% (69,13 milioni). Sul secondo, coperto dalla quota vincolata dello 0,3% del fondo sanitario nazionale, c’erano 365,48 milioni e ne sono stati usati 171,23, cioè il 46,9%. Il tasso d’impiego effettivo di quest’ultimo filone, maggiore al precedente, non è però necessariamente una notizia positiva per chi spera di aspettare meno un esame o una visita specialistica: perché proprio qui, sottolineano i magistrati contabili, si nascondono gli impieghi “alternativi”, rivolti ai bilanci sanitari prima che ai pazienti, perché «la più ampia finalizzazione, normativamente prevista» dal decreto legge 198/2022 ha potuto «indurre le Regioni a utilizzare le risorse in via prioritaria per ripianare i loro disavanzi sanitari e, solo residualmente, per abbattere le liste di attesa». In ogni caso, la media dei due capitoli porta a una spesa effettiva sotto al 30% (239,4 milioni su 803,4).

Due miliardi a disposizione

La questione è seria. Perché la garanzia di non dover sopportare attese bibliche per ricevere una prestazione sanitaria è una componente cruciale dei livelli essenziali di assistenza, che più interventi normativi hanno provato a blindare per esempio con la previsione di un divieto esplicito di sospendere le attività di prenotazione introdotto fin dalla Finanziaria per il 2006 (comma 282 della legge 266/2005). E perché per recuperare i ritardi accumulati durante l’emergenza pandemica i fondi esplicitamente destinati a questo scopo si sono moltiplicati fino a raggiungere 2,049 miliardi negli ultimi cinque anni, in un conto che contempla anche i 500 milioni previsti per quest’anno secondo un meccanismo analogo (quota vincolata del fondo sanitario) a quello che ha consentito utilizzi diversi.

Monitoraggi da avviare subito

Il risultato è riassunto in termini efficaci dalla stessa Corte, quando giudica «di palmare evidenza» il fatto che «nonostante l’ammontare non indifferente di risorse messe a disposizione il relativo utilizzo appare esiguo». E in un contesto del genere un cambio di passo può arrivare solo dallo sviluppo di un monitoraggio effettivo e puntuale, che occupa il centro delle nove raccomandazioni rivolte dalla delibera al ministero della Salute. Perché le verifiche devono estendersi a tutto campo, e spaziare dal sanzionamento effettivo dei casi di interruzione delle prenotazioni vietati da quasi vent’anni fino alla situazione aggiornata delle liste d’attesa, che non può funzionare senza «adottare uno strumentario di acquisizione informativa efficiente». Altrimenti il rischio, concreto, è che anche i 505 milioni messi sul piatto dall’ultima manovra producano risultati modesti.

Fonte: Il Sole 24 Ore