L’Italia del rugby non regge il confronto con l’Argentina
UDINE – Piovono mete e delusione sul Bluenergy Stadium di Udine, palcoscenico della prima partita del novembre azzurro. Il pronostico è rispettato, perché l’Argentina è in assoluto più forte dell’Italia, e in Italia ha perso per l’ultima volta nel 1998. Ma gli Azzurri non avevano mai preso 50 punti dai Pumas e non avevano mai perso da loro con 32 lunghezze di scarto.
Il 50-18 finale (con sette mete al passivo e due messe a segno) porta il peso di una ripresa nella quale l’Italia ha smarrito progressivamente lucidità, fiducia e impatto fisico. Se nel primo tempo Lamaro e soci erano riusciti a ricucire il punteggio da 0-17 a 10-17, portandosi addirittura sul 13-17 tre minuti dopo l’intervallo, dal 48’ al 78’ l’Argentina ha messo a segno un parziale di 33-5 che si commenta da solo.
L’Italia non ha subìto e basta, ha provato a infondere ritmo alle proprie azioni e si è portata spesso piuttosto spesso nell’area dei 22 metri avversari, ma nessuna manovra costruita in questo modo ha dato frutti, anzi. La meta che ha di fatto annullato qualsiasi velleità di rimonta azzurra, al 17’ del secondo tempo, è il simbolo di questa partita. Lunga azione d’attacco dei nostri fino a quando Nicotera perde un pallone in avanti, immediato contrattacco dei Pumas che trovano anche una qualche forma di opposizione ma con una serie di controlli rocamboleschi mandano in meta Albornoz, poi votato uomo del match. Ecco, in questa sequenza c’è tutto: la buona difesa iniziale dei sudamericani, la loro prontezza a ribaltare l’azione e anche quel poco di fortuna che serve sempre, non solo nello sport.
A proposito di fortuna, dopo sette minuti l’Italia aveva già perso Capuozzo. Ad ogni modo, non era la voglia di giocare quella che mancava, bensì la precisione. Troppi regali a una squadra di caratura superiore, che assorbiva senza scomporsi la spinta avversaria per poi approfittare quasi sempre delle situazioni favorevoli. Un altro episodio? La prima meta: anche qui Italia in attacco, palla che arriva a Ruzza lungo l’out, controllo difficile, ovale che sembra destinato ad andare fuori, ma l’estremo Mallia ci crede, l’agguanta in tempo e vola per 65 metri fino ad andare a marcare.
Le due mete azzurre (al 33’ e al 69’) sono venute grazie a punizioni giocate in touche, con lancio a favore e ottima spinta collettiva. Propellente per la passione dei 22mila spettatori, ma sono stati i pochi e vivacissimi supporter argentini a gioire con più frequenza. A maggior ragione in un finale che è stato un carosello per i Pumas e un mezzo calvario per i nostri.«Gli ultimi 20 minuti sono quelli che mi hanno fatto più male – ammette il Ct dell’Italia Gonzalo Quesada – perché in quel momento abbiamo perso totalmente il controllo. Loro sono una grande squadra e si allenano da tre mesi insieme, ma non c’era tutto questo divario, e dunque noi dobbiamo lavorare tanto per evitare finali di partita di questo genere. Più in generale, abbiamo perso troppi palloni “finiti in punti” per loro, che sono potuti crescere in fiducia. Adesso non resta che pensare alla partita di domenica prossima contro la Georgia».
Fonte: Il Sole 24 Ore