Lo smart working cresce tra le donne giovani e senza figli

Lo smart working cresce tra le donne giovani e senza figli

Lo smart working è una modalità organizzativa molto apprezzata tra le donne giovani e senza figli. Secondo uno studio della multinazionale delle biotecnologie farmaceutiche Amgen e dell’Università Bicocca di Milano nella fascia 30-34 la scelta dello smart working è tre volte più alta tra chi non è madre (12,6%), rispetto a chi lo è (4,5%). Una situazione che si ribalta poi verso i 45 anni: nella fascia 45-49 anni le smart worker madri superano infatti quelle senza figli e le curve si invertono. A partire dai 40 anni, le differenze tra i due gruppi si riducono e le donne con figli ricorrono maggiormente a questa modalità lavorativa rispetto a quelle senza. Dopo i 50 anni, lo smart working declina e poi tende a stabilizzarsi. È questo un quadro su cui si vede l’impatto della tendenza generale ad avere figli in età sempre più avanzata. Lo studio Amgen-Bicocca, intitolato “Flessibilità sul luogo e l’orario di lavoro: cosa ne pensano lavoratori e lavoratrici?”, elabora in modo inedito i dati Istat “Forze di lavoro 2023-2024” in chiave statistica “multivariata”, finalizzata cioè a isolare gli effetti di una singola variabile, come l’età o la presenza di figli, tra le tante che possono influenzare i comportamenti dei lavoratori. Per Livia Alessandro, direttrice risorse umane di Amgen Italia, le evidenze dello studio mostrano quanto sia importante analizzare le aspettative dei lavoratori prima di varare le politiche di flessibilità».

Il lavoro agile di Amgen

Amgen ha da poco ricevuto la certificazione sulla Parità di genere e si avvale di «un modello di “lavoro agile” basato sulla flessibilità in ingresso e in uscita dalle 7 alle 20 e lo smart working esteso, con l’obbligo di lavorare in ufficio solo per due giorni al mese», dice Alessandro. «Queste misure, unitamente a politiche aziendali che promuovono l’equità remunerativa, il sostegno alle carriere femminili e il bilanciamento lavoro/famiglia, hanno generato un ampio consenso da parte delle nostre dipendenti, ma riteniamo fondamentale confrontarci con i collaboratori e con il mercato, per continuare ad essere attrattivi e offrire un ambiente di lavoro positivo a uomini e donne», continua Alessandro.

La preoccupazione per la carriera

La ricerca Amgen Bicocca ha anche fatto emergere, per la prima volta, che ci sono differenze legate alla frequenza di utilizzo dello smart working: in particolare, le donne che lavorano con maggior frequenza da remoto, ossia per più del 50% dell’orario lavorativo, mostrano più preoccupazioni per i percorsi di carriera, rispetto alle donne che non praticano il lavoro agile o lo praticano con minore assiduità. La ragione sembra risiedere nel timore che essere meno “in presa diretta” con le dinamiche lavorative possa fare perdere opportunità in termini di promozioni e mobilità.

Il soffitto di cristallo

Lo studio è stato realizzato dalle docenti Simona Comi, Laura Pagani e Emanuela E. Rinaldi dell’Università di Milano Bicocca sui dati 2023-2024 tratti dalla “Rilevazione sulle forze di lavoro (RFL)” dell’Istat, che ogni anno intervista un campione di oltre 250mila famiglie residenti in Italia (circa 600mila individui) distribuite in quasi 1.400 comuni italiani. Complessivamente, le donne presenti nel campione – occupate con lavoro dipendente, di età tra i 20 e i 65 anni – sono circa 95mila. Tra le altre cose emerge anche il tema del “soffitto di cristallo”, ossia l’esclusione delle donne dalle posizioni di alto livello che ha una ricaduta sulle analisi dello smart working, come spiega una delle autrici dello studio, Simona Comi, docente di Economia all’Università di Milano Bicocca: «I dati sullo smart working possono essere ingannevoli, perché di solito non tengono conto della reale composizione del mercato del lavoro per genere. Per esempio, mettono a confronto il livello di adesione al lavoro agile tra dirigenti uomini e donne che fanno le impiegate oppure tra uomini che svolgono attività manuali e donne che lavorano nei servizi. La conseguenza è che le donne sembrano praticare lo smart working più degli uomini. Ma questo non è vero: infatti, se confrontiamo uomini e donne con lo stesso inquadramento gerarchico e lo stesso tipo di occupazione, scopriamo che ricorrono allo smart working nelle stesse percentuali».

La flessibilità per la conciliazione vita-lavoro

La ricerca ha fatto emergere una serie di dati dove non tutte le aziende si riconoscono. Alessandro osserva che i risultati «non sempre coincidono con le esigenze espresse dalla nostra popolazione interna. In Amgen Italia è proprio l’ampia flessibilità a favorire un ambiente inclusivo e la conciliazione vita-lavoro, come testimonia anche la certificazione Uni Pdr/125. La presenza femminile complessiva in Amgen Italia è pari al 59% e nelle posizioni di top management raggiunge il 57%. Il 100% delle madri torna al lavoro dopo la maternità e il tasso di promozioni è identico (11%) sia nella popolazione maschile sia in quella femminile».

Fonte: Il Sole 24 Ore