L’ombra di Trump sul World Economic Forum

L’ombra di Trump sul World Economic Forum

Qualunque cosa dica, quando giovedì 23 gennaio si affaccerà sul palco di Davos, Donald Trump può star sicuro di aver già lasciato il segno sul World Economic Forum. Come del resto aveva fatto nel 2018, quando nel primo giorno dei lavori, sparò il primo colpo della guerra commerciale con la Cina, annunciando dazi sulle importazioni di pannelli solari, in nome della dottrina America First. Pochi giorni dopo, Trump sbarcò di persona a Davos, scortato da un convoglio di elicotteri militari, a bordo del Marine One, sul quale era salito all’aeroporto di Zurigo. Quest’anno parlerà in video collegamento, secondo il programma, anche se da giorni circola la voce che possa arrivare di persona.

Da isolazionista a imperialista?

L’effetto del discorso di inaugurazione è ancora vivo e domina nei corridoi, nei panel, negli interventi di politici ed economisti. L’atmosfera al Wef è a metà strada fra la confusione, l’eccitazione e l’impressione di vedere il solito Trump. Secondo Allison Schrager, del Manhattan Institute, Trump parte da «posizioni massimaliste», per poi negoziare. Si vedrà. È in fondo il mood che accolse il suo primo mandato: «Non fa sul serio», «è propaganda», «è un imprenditore, è pragmatico», si diceva allora e si ripete oggi. L’etichetta di presidente “isolazionista” non sembra più abbasstanza per definire la versione 2.0 di Trump e allra compaiono quelle di «unilateralista» e anche «imperialista».

Eppure, il primo mandato Trump ha mostrato che le sue minacce vanno prese sul serio e che comunque di per sé influenzano il clima: sugli investimenti, sulle Borse, sulla politica internazionale.

La Cina e l’Europa

Pechino sembra decisa a valutare le parole di Trump per quello che sono. Il vice-premier Ding Xuexiang, ha avvisato «le guerre commerciali non hanno vincitori e che si rischia uno scontro, nel quale nessun Paese è sicuro».

In qualche modo anche l’Unione Europea sembra diversa: la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha ribadito la disponibilità a negoziare, ma anche chiarito che l’Europa non solo difenderà i propri interessi, ma terrà fede ai propri valori, che sono quelli della cooperazione internazionale. Del resto, le aziende europee impiegano negli Usa 3,5 milioni di americani e un altro milione dipende direttamente dal commercio con l’Europa.

Fonte: Il Sole 24 Ore