“Lubo”, un film torrenziale con un grande Franz Rogowski

L’ultimo film italiano in concorso è il protagonista della giornata al Lido: “Lubo” di Giorgio Diritti è il sesto titolo di casa nostra in lizza per il Leone d’oro, dopo “Comandante” di Edoardo De Angelis, “Finalmente l’alba” di Saverio Costanzo, “Adagio” di Stefano Sollima, “Enea” di Pietro Castellitto e “Io Capitano” di Matteo Garrone.

Protagonista è l’eccellente Franz Rogowski nei panni dell’artista di strada Lubo, un nomade, che nel 1939 viene chiamato nell’esercito elvetico per difendere i confini nazionali dal rischio di un’invasione tedesca. Poco tempo dopo scopre che sua moglie è morta nel tentativo di impedire ai gendarmi di portare via i loro tre figli piccoli, che, in quanto Jenisch, sono stati strappati alla famiglia secondo il programma di rieducazione nazionale per i bambini di strada. Lubo sa che non avrà più pace fino a quando non avrà ritrovato i suoi figli e ottenuto giustizia.

È un film torrenziale “Lubo”, una pellicola che dura tre ore e in cui si vivono emozioni diverse nel corso della visione: dalla sofferenza alla gioia, dalla speranza al dolore, questo lungometraggio ci porta su una giostra ricca di svariate sensazioni.Allo stesso modo è anche un prodotto altalenante, con alcuni momenti di altissimo cinema a cui seguono passaggi (soprattutto nella parte centrale) prolissi e di cui si poteva fare senza dubbio a meno.

Un grande incipit

Notevolissimo è però l’incipit, dove il protagonista si svela lentamente durante una bella esibizione pubblica in mezzo a tante persone.Tre anni dopo il buon lavoro realizzato con “Volevo nascondermi”, incentrato sulla vita del pittore Antonio Ligabue, Diritti si conferma un bravo regista e torna ai temi della Seconda guerra mondiale che aveva già affrontato in “L’uomo che verrà”, un toccante racconto della Strage di Marzabotto.In “Lubo”, ispirato al romanzo “Il seminatore” di Mario Cavatore, si sente anche fortissima la vocazione politica nel voler raccontare l’ingiustizia subita da quelle famiglie nomadi a cui sono stati portati via i figli con la scusa del programma di rieducazione nazionale. Quello di Diritti è infatti anche un film di denuncia, capace di scuotere nonostante una certa ridondanza generale che indebolisce in parte il coinvolgimento complessivo.Il vero valore aggiunto dell’operazione è però senz’altro l’intensa prova di Franz Rogowski, regista che aveva già lavorato con registi italiani come Gabriele Mainetti (“Freaks Out”) e Giovanni Abbruzzese (“Disco Boy”): l’attore tedesco, che abbiamo ammirato quest’estate anche in “Passages”, regala l’ennesima grande performance della sua carriera e potrebbe essere uno dei principali candidati alla Coppa Volpi come miglior attore.

Holly

In concorso ha trovato spazio anche “Holly” della regista belga Fien Troch. Al centro c’è la storia di un’adolescente vittima di bullismo e dotata di poteri decisamente anticonvenzionali. Un giorno Holly chiama la sua scuola dicendo che non sarebbe uscita di casa quel giorno e poche ore dopo nell’istituto scoppia un incendio dove perdono la vita diversi studenti. Anna, una delle docenti, è affascinata dalla strana premonizione di Holly e la invita a far parte del suo gruppo di volontari. La sola presenza di Holly trasmette serenità, calore e speranza. Presto però tutti vogliono incontrarla e beneficiare dei suoi straordinari poteri.È un film sull’adolescenza e sul bullismo questo piccolo lungometraggio girato in maniera elegante dalla sua autrice. Se la partenza promette tantissimo, col passare dei minuti purtroppo la pellicola si sgonfia finendo per deludere le alte aspettative create con le prime sequenze.Soprattutto nella parte conclusive sembra che Fien Troch abbia un po’ perso le redini della pellicola e quello che rimane è un film capace di stimolare, ma troppo confuso e grossolano per potersi dire davvero riuscito.

Fonte: Il Sole 24 Ore