Luigi Einaudi, uno scrittore alla prova delle Considerazioni finali

Lingua capace idealmente di coniugare acribia ed eleganza

La lingua cambia nel tempo, ma in Banca d’Italia è rimasta viva l’aspirazione a una scrittura nitida, rigorosa e magari, se ci si riesce, dotata di una certa qualità estetica; a una scrittura, insomma, capace idealmente di coniugare acribia ed eleganza (…).

Certo, oggi non ci si affida semplicemente all’estro individuale di un economista- scrittore come Einaudi. Eppure gli strumenti linguistici di cui ci siamo dotati negli anni probabilmente sarebbero piaciuti al Governatore Einaudi, che forse avrebbe contribuito al nostro Vademecum per la redazione delle pubblicazioni istituzionali (e probabilmente avrebbe criticata quella “g” maiuscola, usata normalmente come iniziale della sua carica istituzionale: “Le Maiuscole guastano l’estetica della pagina”, ebbe a scrivere a Ernesto Rossi). Ne avrebbe forse apprezzato le indicazioni contro l’abuso dei termini di moda, di metafore logore, così come lui ad esempio si era battuto contro le metafore belliche in economia. Qui ci è ancora d’aiuto Valeria Della Valle, che si sofferma su espressioni come ‘azione offensiva’, ‘nuovo fronte’, ‘arma dialettica’, ‘lotta in corso’, che Einaudi considerava appartenenti a un ambito linguistico, a una fraseologia (cito Einaudi)più propria a trattazioni belliche che non a quelle pacifiche commerciali. (…)

Gli anglicismi nel linguaggio tecnico dell’economia

Non possiamo sapere come avrebbe affrontato una questione linguistica oggi molto discussa, e cioè la presenza crescente degli anglicismi nel linguaggio tecnico dell’economia; se avrebbe adottato l’atteggiamento cruscante di chi si fa un dovere di rifiutarli in blocco, o convenuto con la posizione più possibilista …

Nelle nostre pubblicazioni, nei discorsi, facciamo attenzione a evitare gli anglicismi quando sono inutili e ineleganti, quando l’uso della parola inglese è frutto più di pigrizia e sciatteria che di vera necessità; quando la parola italiana equivalente, perfettamente adeguata, rende il testo più chiaro e incisivo. Ma non dichiariamo una guerra pregiudiziale agli anglicismi [ecco anche qui una metafora bellica!] nella coniazione di nuovi termini economici, bancari e finanziari… Le parole nuove, quando indicano cose nuove, sorgono ormai dappertutto nello stesso momento. Non di rado l’uso di una parola globale per designare una cosa (un prodotto, una transazione) globale facilita la comunicazione, anche tra soggetti di una sola nazione, inevitabilmente immersi nel flusso internazionale delle informazioni e delle idee. Non di rado la ricerca affannosa dell’equivalente indigeno, del calco linguistico, o almeno dell’italianizzazione morfologica, può sonare artificiosa e nuocere, piuttosto che giovare, alla chiarezza della comunicazione.

Non lo sappiamo, ma (cedendo un po’ al vizio comune di attribuire fittiziamente ai grandi le nostre opinioni su fatti che essi non videro) ci piace pensare che chi, come lui, si nutrì del dibattito plurilingue dell’Europa colta e fu immune – cosa allora rara – da ogni provincialismo intellettuale, non avrebbe avuto un atteggiamento troppo distante da questo.

Fonte: Il Sole 24 Ore