“L’ultima Luna di Settembre”, dalla Mongolia una poetica opera prima
Dalla lontana Mongolia arriva uno dei titoli più interessanti del weekend in sala: si tratta de “L’ultima Luna di Settembre”, esordio dietro la macchina da presa per Amarsalkhan Baljinnyam.
Il neoregista interpreta anche il protagonista Tulga, un uomo che vive in città da diversi anni. Quando il suo anziano padre si ammala, decide però di far ritorno nel suo villaggio natale per assisterlo. Dopo la morte del genitore, Tulga sceglie di restare comunque a vivere in mezzo alle colline, determinato a portare a termine un compito che aveva promesso al padre di completare prima dell’arrivo dell’ultima luna piena di settembre.
Un giorno, mentre lavora nei campi, Tulga si imbatte in un bambino di circa dieci anni, che vive con i nonni perché sua madre lavora in città. Inizialmente tra loro si instaura un rapporto di sfida, che pian piano si appianerà, lasciando spazio a un legame fatto di stima e condivisione.
È proprio attorno alla relazione tra i due che si sviluppa questa pellicola di forte umanità, in cui l’adulto prende il bambino sotto la sua ala protettiva, cercando di offrirgli quell’affetto paterno di cui ha bisogno e che a lui non era mai stato concesso da suo padre.Se nella parte iniziale il film fatica un po’ a carburare, l’intensità narrativa cresce col passare dei minuti raggiungendo il suo apice quando l’ultima luna piena di settembre si avvicina, contemporaneamente al fatto che Tulga si rende conto che sono rimasti pochi giorni da trascorrere in mezzo alla natura prima del suo ritorno in città.
La nostalgia di un paesaggio che cambia
Si sente molta malinconia in questa storia di due orfani di padre che si incontrano, un sentimento che non è solo legato alle loro vicende personali, ma anche al racconto del paesaggio circostante.“L’ultima Luna di Settembre” è inoltre un film sul rapporto tra gli esseri umani e l’ambiente attorno a loro, nel cui cambiamento e nel passaggio da uno spazio naturale a uno spazio costruito da macchinari e trattori si coglie una nostalgia capace di toccare corde particolarmente profonde.Non manca qualche passaggio acerbo in cui si nota che per Amarsalkhan Baljinnyam è la prima prova dietro la macchina da presa, ma lungo questa visione, segnata da un ritmo contemplativo per quasi tutta la sua durata, si percepisce la sensibilità del regista e gli sguardi dei due personaggi principali valgono più di tante parole.
Per chi è in cerca di un’opera anticonvenzionale da vedere questo weekend è un film sicuramente da non perdere.
La verità secondo Maureen K.
Questa settimana in sala arriva anche “La verità secondo Maureen K.” di Jean-Paul Salomé, con protagonista Isabelle Huppert.L’attrice francese interpreta Maureen Kearney, un’importante sindacalista che viene rinvenuta nella sua casa dopo una grave aggressione.Data la gravità di quanto accaduto, le indagini si fanno sempre più serrate, alla ricerca di ulteriori dettagli. Mentre vengono a galla nuovi elementi per la ricostruzione dei fatti, gli inquirenti iniziano però sospettare che Maureen non sia la vittima.Tratto da una storia vera, “La verità secondo Maureen K.” è un thriller serrato capace di coinvolgere, seppur si prenda qualche pausa di troppo nella parte centrale, a causa di un ritmo che funziona a fasi alterne.La storia è però appassionante e girata in maniera incisiva da Jean-Paul Salomé, che firma quello che fino a oggi è il film migliore della sua carriera, nonostante gli manchino ancora i grandi guizzi per poter realizzare un’opera del tutto compiuta.Ottima prova di Isabelle Huppert che si conferma, per l’ennesima volta, una delle più importanti attrici del cinema contemporaneo.
Fonte: Il Sole 24 Ore