L’universo incantato firmato da Tito Chini
Poche volte la parola «capolavoro» assume un senso compiuto come quando la si può applicare a un’opera “totale” –come quella che porta la firma di un purtroppo tuttora illustre sconosciuto quale è Tito Chini (1898-1947) –, che la riempie davvero del significato che reca. Parlo delle Terme di Castrocaro, gioiello misconosciuto e ancora pochissimo studiato. Una stazione termale con un favoloso Padiglione delle Feste, costruita per volere e sotto il regime di Mussolini (che era di quelle parti) e forse proprio per questo poi definitivamente, e colpevolmente, trascurata. Eppure Chini, cugino del più noto Galileo, e autore di tutte le “decorazioni” del progetto, l’aveva resa davvero un posto unico. Non c’è dettaglio pur minimo cui non avesse pensato, in una fantasmagoria di soluzioni estetiche, costruttive, persino ludiche e “morali” (dall’affresco al pannello, dal vetro alla ceramica al marmo, dalla sala per le carte al biliardo, ai luoghi di lettura, al bar) che lascia ammirati e, di più, sbalorditi. Era un perfezionista tale che si rifiutò di partecipare all’evento di inaugurazione (1938, e sì che c’era il Principe Umberto), perché non tutto era finito come voleva. L’imprenditrice Lucia Magnani, che oggi gestisce le terme, ha favorito un po’, con una mostra e un libro, la riscoperta di tale patrimonio, ma molto è da fare. Mi è capitato di sdraiarmi sul pavimento del Padiglione, sul mosaico in piastrelle che raffigura caravelle che esplorano il globo terracqueo, e perdermi poi col naso all’insu nel fantastico lucernario rotondo, istoriato con costellazioni, stelle e zodiaco su tre cerchi concentrici che adorna il soffitto. La fonte iconografica di Chini, anche in questo caso, va ancora capita, ma anche “solo” quel soffitto getta luce sul suo genio, dal quale qui sei tutto circondato, in una bellezza che è esteriore ed interiore allo stesso tempo. Un capolavoro, appunto, che è ora di conoscere (al) meglio.
Fonte: Il Sole 24 Ore