Luoghi dove il safari parla la lingua della sostenibilità

Luoghi dove il safari parla la lingua della sostenibilità

Il safari è il modello del viaggio perfetto. Il significato originale del termine swahili (derivato dell’arabo safara «viaggiare»), riferito a spedizioni in Africa per andare a caccia di belve feroci, oggi si è ampliato e descrive un modo lento di osservare i luoghi, i paesaggi e la vita che si svolge al loro interno. In realtà la definizione è stata ormai adottata anche per ogni tipo di avventura adrenalinica, dalle esplorazioni sottomarine alle sciate fuoripista sulle Dolomiti, accomunate da una natura estrema, forte, dominante. Quel che è certo è che “safari” è un’esperienza che porta fuori dalla comfort zone e offre un confronto con qualcosa di molto più grande, un cambio di prospettiva nel guardare il mondo, per cui osservare un leone che sbrana la preda insieme ai suoi cuccioli può essere una lezione di vita nella savana, non necessariamente un’immagine raccapricciante.

Le esperienze

Safari è anche sinonimo di viaggio sostenibile: in molti lodge sono stati eliminati i lussi inutili (come caviale e Champagne) senza rinunciare però alla comodità di una doccia calda nella propria tenda, e i proprietari sono molto più consapevoli della fragilità dell’ambiente e della fauna, il loro vero patrimonio e come tale da proteggere. Chi affronta diverse ore di viaggio per raggiungere posti sperduti, pagando cifre elevate, si aspetta di trovare l’incanto che sognava: gli animali selvatici in azione, gli orizzonti infiniti, i cieli stellati. Ed è un viaggiatore che, più sensibile alle urgenze ambientali, sceglie operatori etici che lavorano con la popolazione locale, combattono il bracconaggio, riducono i consumi di risorse, fanno insomma scelte coraggiose e innovative. Del gruppo fa parte Kantabile Afrika, nel Parco nazionale del Serengeti, in Tanzania. Qui la sostenibilità è ferrea. Tutto è cominciato nel 2019 con un lembo di terra, dove Vivian e Godwin Temba si sono trasferiti, per abitare in una tenda senza elettricità né acqua corrente e spostarsi solo con una bicicletta. Il loro progetto era proporre un safari essenziale: «Non abbiamo neanche la piscina per non sprecare acqua preziosa per l’agricoltura e per gli animali – spiega Vivian -. Qui si viene per assistere alla Grande Migrazione, con milioni di gnu, zebre e antilopi che sciamano ininterrottamente in cerca di nuovi pascoli e, appunto, acqua». Lo spettacolo inizia appena svegli affacciandosi dalle tende sopraelevate dei due campi, Cherero e Aurari, alimentati a energia solare, e continua con i giri in fuoristrada tra praterie, foreste e savane. Vivian e Godwin hanno scelto di avere un team di donne africane nei ruoli chiave e fanno parte di Regenerative Hotels, la cui missione è responsabilizzare i viaggiatori, le aziende e le comunità per costruire un turismo equo ed ecologico.

Favorire chi ha disabilità

In quanto viaggio estremo, il safari è complesso per chi soffre di qualche forma di invalidità, ovvero il 15% della popolazione mondiale. Per questo nel 2003 Mike Hill, ranger da quando aveva 18 anni, ha fondato Endeavour Safaris, che propone spedizioni accessibili in Namibia, Botswana e Sud Africa grazie a tende disegnate appositamente e fuoristrada dotati di sollevatori idraulici per le sedie a rotelle. Si organizzano viaggi anche per persone con problemi visivi e auditivi, che hanno bisogno di ossigeno e per i dializzati, con un portfolio di strutture più ampio, perché sempre più campi e lodge si sono attrezzati per accogliere questi viaggiatori speciali.

Oltre a mete celebri come quelle appena citate, ne esistono di meno note ma altrettanto favolose, come lo Zambia, Paese economicamente e politicamente tranquillo. Con 20 parchi nazionali e 34 riserve faunistiche, è tra i pochi ad avere una popolazione di più di mille leoni, oltre un centinaio di leopardi e innumerevoli licaoni. I campi, invece, sono pochi. Solo otto nell’immenso Parco del Lower Zambesi, il che significa che non si incrociano altri turisti nel raggio di chilometri. Tra questi c’è Anabezi, fondato da Shaun Davy, fratello di Chelsy, imprenditrice ed ex fidanzata del principe Harry: offre 12 tende senza un solo muro, è alimentato al 100% con energia solare, è famoso per i suoi safari a piedi e per i progetti dedicati alla comunità locale, come la “washing station” dove si possono lavare piatti e bucato senza inquinare il fiume, e un programma di agricoltura rigenerativa che prevede la formazione, la fornitura dei semi e la garanzia di acquistare il raccolto. Il campo è immerso in un paesaggio incantato, tra il fiume e una foresta, risultato della bonifica di un’area paludosa grazie alla costruzione, 65 anni fa, di una diga sul fiume Zambesi. Basta sedersi in veranda per osservare ogni giorno un documentario dal vivo.

Riconversione agricola

Quella di Tarquin e Lippa Wood è invece una storia di riconversione di un terreno agricolo in un’area selvaggia nel Parco nazionale del Masai Mara, in Kenya. Tolti i recinti, sono ricresciuti gli alberi e sono tornati gli animali, felini, rinoceronti, gazzelle. I Wood hanno poi affittato altri terreni da 700 famiglie Masai e fondato Enonkishu Conservancy, che ha già investito più di un milione di dollari per far convivere la tutela dell’ecosistema con l’agricoltura e gli allevamenti Masai. La tenuta ospita un lodge con 10 camere in riva al fiume (House in the Wild), uno sulla collina con vista che spazia fino alla Tanzania (Wild Hill) e alcune ville con piscina, campo da tennis e palestra gestite per conto di altri proprietari. Un posto perfetto per chi viaggia con i bambini che qui, tra re leoni, rinoceronti e altri animali dei cartoni animati, possono vedere da vicino l’effetto che fa.

Fonte: Il Sole 24 Ore