L’uso a oltranza non funziona più: così il malato resta malato
Non è una novità degli ultimi anni. Tutto è iniziato con i grandi cicli di riduzione del personale durante le grandi ristrutturazioni degli anni Novanta. Da allora la cassa integrazione è diventata un’architrave delle (presunte) politiche industriali e occupazionali e della (ambigua) realtà psico-politica del Paese.
Abuso di cassa integrazione
L’abuso di questo strumento non è naturalmente etico o politico: è funzionale. La cassa integrazione, come strumento prevalente e unico di gestione delle crisi, non ha più una vera efficacia e rende l’economia italiana un gigantesco ospedale da campo in cui i malati continuano a rimanere malati, nessuno muore e nessuno nasce. Esiste infatti un dogma nella nostra vita pubblica: nessuna azienda deve chiudere.
La sfiducia nella forza dell’imprenditoria, e nel mercato, è così radicata che si preferisce mantenere “in vita” piccole e grandi aziende zombie piuttosto che favorire la nascita di nuove imprese, esposte alla concorrenza. La commedia italiana è sempre la stessa: i sindacati invocano, gli imprenditori capiscono, il vescovo interviene, i prefetti mediano, i politici locali si rivolgono ai politici nazionali che sicuramente si attivano.
La cassa integrzione può essere buona o cattiva
Il problema è che tutto questo non funziona più. Occorre provare a separare la cassa integrazione buona da quella cattiva. La prima garantisce reddito temporaneo e (abbastanza) dignitoso ai lavoratori altrimenti disoccupati, permette (in linea teorica) a questi di cercare un’altra occasione e aiuta i territori a ridurre tensioni e ridimensionare la paura per il futuro.
La cassa integrazione cattiva è invece la medicina inoculata per anni e anni e anni al corpo aziendale malato, ridotto a parodia di un organismo industriale stremato, con un effetto paralizzante rispetto a ogni possibilità che il lavoratore – bloccato nel mondo di mezzo per anni e anni e anni – torni ad avere un lavoro vero. E con il rischio che l’imprenditore, anziché affrontare il fallimento e riaprire una nuova attività, divenga anch’egli la parodia di se stesso.
Fonte: Il Sole 24 Ore