M&A, la sostenibilità criterio decisivo per gli investitori

La sostenibilità sta diventando un fattore sempre più decisivo per orientare le operazioni M&A in Europa. Con l’entrata in vigore, lo scorso luglio, della direttiva europea CSDDD (Corporate Sustainability Due Diligence Directive), che richiede alle aziende con oltre mille dipendenti di tracciare tutta la catena di fornitura in relazione alle tematiche Esg, l’importanza di considerare questi aspetti nel quadro di valutazione e selezione dei propri investimenti è diventata centrale per *i gruppi o i fondi che si apprestano a fare acquisizioni o fusioni sul mercato.

Questa norma avrà infatti un effetto «dirompente» sulle imprese, osserva Marianna Vintiadis, partner e Head of Forensic Investigations & Intelligence di RSM Italia, perché anche se riguarda in prima istanza le grande industrie, agisce anche sulle medie e piccole realtà fornitrici, alle quali sarà richiesta la conformità alle nuove regole da parte dei clienti.

L’indagine di RSM sugli investitori europei

Per questo, il team Forensic Investigations & Intelligence di RSM Corporate Finance, già noto come la startup d’intelligence 36Brains, ha realizzato, con il supporto di Mergermarket, un rapporto su come queste nuove norme su supply chain e sostenibilità stanno impattando sul mercato M&A in Europa.

«Abbiamo intervistato circa 60 soggetti, tra top manager di aziende, fondi di private equity e hedge fund, operanti nell’area di lingua tedesca e in Sue Europa, per capire il loro lievllo di consapevolezza rispetto a questa normativa e l’impatto che si attendono – spiega Vintiadis -. Da questa indagine è emerso che gli aspetti legati alla sostenibilità in senso ampio, quindi alle tematiche Esg, è sempre più determinante per orientare gli investimenti». Il 92% degli intervistati ritiene infatti che queste norme renderanno l’Europa una destinazione più attrattiva per gli investimenti. Garantire la conformità delle proprie catene di approvvigionamento è un fattore di maggiore competitività soprattutto per gli investitori tedeschi e italiani (l’87% degli intervistati) e l’80% di quelli spagnoli.

La gestione dei controlli

Si apre però il tema di come gestire e verificare tutti questi aspetti (il cui controllo, peraltro, non è uniformato tra i Paesi): non sempre le aziende hanno al proprio interno le competenze per occuparsene, spiega Vintiadis: «Sono nati dei software che, con l’ausilio dell’intelligenza artificiale, aiutano a calcolare la compliance dei fornitori, ma per aspetti più specifici o transnazionali, oppure in presenza di situazioni poco trasparenti o di segnalazioni, il 91% degli intervistati ritiene necessario rivolgersi a degli specialisti».

Fonte: Il Sole 24 Ore