
Mario Vargas Llosa, tra i massimi prosatori del Novecento
Mario Vargas Llosa, autore peruviano naturalizzato spagnolo, premio Nobel per la letteratura nel 2010 e membro dell’Académie française (era nato ad Arequipa il 28 marzo 1936) è stato capace di coniugare sapientemente la scrittura di romanzi con pezzi giornalistici di grande valore e saggi penetranti e verrà ricordato come uno dei massimi prosatori latinoamericani del Novecento.
Il premio Nobel
L’Accademia svedese lo ha decorato, non a caso, «per la sua cartografia delle strutture del potere e per le acute immagini della resistenza, della rivolta e della sconfitta dell’individuo».
Appena sedicenne, Vargas Llosa si era distinto con un dramma teatrale, La fuga dell’Inca (1952), che può essere considerato la sua prima vera prova letteraria, già densa di allusioni politiche (in particolare, in riferimento alla dittatura di Manuel Odría). Il romanzo d’esordio arriva nel ’63 con La città e i cani (tradotto in italiano da Feltrinelli nel ’67 e ora disponibile per Einaudi) che racconta la feroce disciplina della scuola militare Leoncio Prado. Seguono La Casa Verde (1966) e, soprattutto, Conversazione nella «Catedral» (1969), un’opera che fa ancora riferimento all’autoritarismo di Odría e che colloca Vargas Llosa solidamente a sinistra: le storie del giornalista Santiago Zavala e dello zambo Ambrosio si intrecciano nel losco bar «La Catedral», nominato in questo modo per la conformazione della sua porta d’ingresso. L’incipit del testo è semplicemente folgorante: «Dalla porta de “La Crónica” Santiago guarda l’avenida Tacna, senza amore: automobili, edifici disuguali e scoloriti, scheletri di pubblicità luminosa che ondeggiano nella nebbiolina, il mezzogiorno grigio.
Il Perù
In che momento si era fottuto il Perù? Gli strilloni, infilandosi tra i veicoli fermi al semaforo della calle Wilson, gridano i titoli dei giornali del pomeriggio, e lui comincia a camminare, piano, verso la Colmena» (traduzione di Enrico Cicogna, Einaudi). Al ’76 risale uno degli aneddoti più clamorosi della storia della letteratura ispanoamericana: a Città del Messico, probabilmente per motivi privati (ma la ragione reale non venne mai a galla), lo scrittore peruviano sferrò un pugno ben assestato all’amico Gabriel García Márquez. Risultato: il colombiano si fece ritrarre dal fotografo Rodrigo Moya sorridente e con un occhio nero. Il colpo a Márquez ha però un che di simbolico sotto il profilo politico: Vargas Llosa lascia di fatto la sinistra anticapitalista e raggiunge posizioni liberali.
Prosegue, intanto, fervida la sua attività letteraria: da La guerra della fine del mondo (1981) a Il narratore ambulante (1987), da Avventure della ragazza cattiva (2006) al recentissimo Le dedico il mio silenzio (2023), Vargas Llosa mescola sempre con ammirevole equilibrio formale un’inclinazione malinconica e una speranza non sopita. Straordinario poligrafo, l’autore peruviano – come anticipato – ha pubblicato anche racconti, testi per bambini, memorie e saggi (si ricordano La civiltà dello spettacolo, 2012, e Il richiamo della tribù, 2018).
Fonte: Il Sole 24 Ore