Materie prime: il ritorno delle miniere spinte da guerra e decarbonizzazione
Dal cobalto al litio, passando per piombo e zinco e con un’attenzione verso le terre rare. Si guarda alle miniere e alle “risorse locali”. “Complice” la decarbonizzazione prima e la crisi nell’approvvigionamento di materie prime legata anche alla situazione geopolitica poi, ora l’attenzione va alle risorse locali. Per il momento non si riattivano le produzioni in stand by ma si cerca di capire quanta capacità hanno i giacimenti a riposo. Perché dai pozzi e gallerie dismesse e dalle discariche minerarie si possono ricavare ancora minerali che diventano componenti per la maggior parte degli oggetti e strumenti utilizzati nella vita quotidiana. In questo contesto, oltre a qualche progetto per la riattivazione di siti dismessi, sono state presentate nuove richieste per permessi di ricerca.
Piombo e Zinco
In campo, viaggiando su più binari, è l’Australiana Altamin che in Italia opera con le consociate Energia Minerals Italia e Strategic Minerals Italia. L’azienda da anni porta avanti il progetto Gorno, relativo al complesso minerario Riso-Parina, che va a interessare i comuni di Gorno, Oltre il Colle e Oneta in provincia di Bergamo, prevede la riattivazione di una miniera di zinco e piombo (blenda e galena) chiusa dall’Eni oltre vent’anni fa. In questo sito sono stati spesi oltre 16 milioni di euro per una serie di interventi e attività di ricerca.
Tra i programmi anche la ricerca per l’eventuale utilizzo di altri materiali particolarmente ricercati come Cobalto. Il progetto riguarda le vecchie miniere del 1700 di Usseglio e Balme in Piemonte. L’intenzione è quella di riattivare quella che gli addetti ai lavori hanno definito «il più grande sito di cobalto d’Europa».
La ricerca nel Lazio
Ora una nuova richiesta: quella per la ricerca del Litio. Questa volta l’obiettivo si sposta nel Lazio. Nello specifico, l’attenzione del gruppo, che ha presentato domanda di ricerca esplorativa alla Regione, riguarda l’area di Campagnano e Galeria a Cesano, a circa 50 km a nord di Roma. «Le domande interessano i permessi di ricerca – sottolinea Marcello De Angelis, geologo e manager di Altamin – e per portare avanti questa attività si utilizzano i tanti pozzi che sono stati utilizzati in passato per la produzione di energia elettrica e che oggi sono stati dismessi. A noi interessa capire se i tenori contenuti nei fluidi idrotermali sono di interesse». Un’area di 3.240 ettari in cui sono stati perforati più di 800 pozzi.Fluorite e Terre rare in Sardegna
In Sardegna, a Silius, la Mineraria Gerrei è al lavoro per rimettere in produzione il sito minerario di Muscadroxiu, per l’estrazione di fluorite, ma anche galena e terre rare. Per portare avanti il progetto è stato predisposto un piano di investimenti da 40 milioni di euro e un progetto industriale che prevede l’impiego di strumenti ad alta tecnologia che spazierà dallo studio e ricerca dei tenori all’organizzazione del lavoro sino ad arrivare alla possibilità di guida dei mezzi in sottosuolo da remoto.
Fonte: Il Sole 24 Ore