Medardo Rosso: mercato afflitto dai falsi, ma sorvegliato dall’archivio
In vita Medardo Rosso non aveva avuto un mercante di riferimento e, anche in questo caso, si era occupato personalmente delle vendite a collezionisti e i musei in tutta Europa. “Pur vivendo nella Parigi di Manet, Renoir, Degas, che era suo amico e l’aveva aiutato al suo arrivo nella capitale francese (Degas, infatti, parlava italiano, avendo parenti napoletani), non ha mai avuto i mercanti come gli altri artisti, perché era uno spirito assolutamente ribelle, quindi, non avrebbe mai accettato avere delle condizioni per produrre la sua opera” così Daniela Marsure. “Lo faceva quando lo sentiva, quando l’aveva in mente, coi suoi tempi e solo quando entrava in unione intellettuale e in un rapporto di fiducia con l’acquirente. Aveva molti collezionisti direttori di musei a quale si presentava lui personalmente, infatti, ha viaggiato tantissimo nel Nord Europa, mentre in Italia non è stato riconosciuto fino al 1911 quando Soffici gli fa una mostra a Firenze”. Già nel 1986 è entrato nella collezione del South Kensington Museum a Londra (attuale Victoria and Albert), poi a Dresda (1901), Essen (1902), Lipsia (1903), Parigi (1907), solo nel 1913 nella Galleria nazionale di Arte Moderna di Roma, l’anno dopo a Ca’ Pesaro a Venezia e nel 1921 a Palazzo Pitti a Firenze. “Sapeva di essere in anticipo sui tempi, per cui a volte teneva nascoste le sue opere. Quando Clemenceau, presidente del governo francese, nei primi di Novecento, volle acquistare due sue opere, Rosso gli disse che erano troppo avanzate e, in effetti, vennero messe nei magazzini”.
La storia del mercato
Dopo la morte, il figlio Francesco si occupa del lascito e fonda il museo di Barzio in una casa ristrutturata con l’aiuto di Piero Portaluppi. Inoltre, regala tantissime opere alla Gnam di Roma, alla GAM di Milano, fa mostre in Italia, a Parigi. Quando muore, nel 1956, si blocca tutto. Sua moglie e sua figlia non si occupano della promozione di Rosso, anzi, rifiutano qualsiasi richiesta di prestito persino a Margaret Scolari Barr, storica dell’arte e moglie del direttore del MoMA Alfred Barr, che pubblica una monografia in inglese su Rosso nei primi anni 60 e fa una mostra al MoMA. Affidano l’archivio a Luciano Caramel e in questo periodo il mercato viene inondato dalle copie. Nel 1990, alla morte della figlia di Francesco, nonna di Daniela Marsure, subentra quest’ultima, che inizia un lavoro di studio e di riordino dei documenti e di accreditamento del museo. Nel 2009, con la pubblicazione del catalogo ragionato, c’è stata la svolta. Il museo stesso si occupa oggi delle autenticazioni grazie ad un comitato scientifico, ma ci sono ancora tante copie in circolazione.
In galleria
Nei primi anni 90 ha iniziato ad occuparsi di Rosso anche la galleria Amedeo Porro Fine Arts, con sedi a Lugano e Londra. “Rosso è stato sempre presente nei musei italiani e in alcuni internazionali, ma poco ricercato dal collezionismo privato e non capivo il perché” ha affermato Porro. “In America, Giappone e Germania c’è sempre stato interesse, quindi, già dalla metà degli anni 90 ho iniziato un rapporto di collaborazione con la galleria Peter Freeman a New York per aprire la strada all’America. Abbiamo fatto mostre e pubblicazioni per tirare fuori Rosso dall’anonimato e farlo conoscere ai privati”.
Oltre alla questione delle copie, ci sono anche produzioni successive alla sua morte, ma riconosciute. “C’è da distinguere la produzione del figlio Francesco” spiega Porro, “che ha prodotto opere del padre quando richieste, per esempio, dai musei, e quella dell’avvocato Vianello-Chiodo, che ha assistito Rosso negli ultimi anni di vita, per cui Rosso, come ringraziamento, gli ha dato un gruppo di sei gessi dei quali lui aveva il permesso di fare le fusioni. Ma questi due filoni sono entrambi riconosciuti come opere di Medardo Rosso, seppure con valori commerciali diversi: circa la metà quelle del figlio e circa un terzo quelle dell’avvocato. Oggi c’è poco materiale disponibile: su 252 opere catalogate, 134 sono nei musei. Quindi, solo 118 sul mercato, di cui una parte in collezioni private, altre distrutte e molte date come collocazione sconosciuta. Un corpus, quindi, molto esiguo per soddisfare una richiesta sempre più elevata”.
La valorizzazione sul mercato
I prezzi in questi venti anni sono quintuplicati. Per i capolavori si arriva al milione di euro, 400-500mila per le opere medie e 50-100mila per quelle minori, a seconda del soggetto, della tecnica, dello stato di conservazione. Ma i soggetti importanti oramai sono introvabili. “Le ultime due versioni della ’Dame a la Voilette’ in commercio sono state da me vendute al MoMA e a Rotterdam”, così Porro. “L’Ecce Puer è un altro soggetto fondamentale ma introvabile, ce ne saranno due in commercio, ma in Italia e notificate. Questo è un altro fattore che non aiuta la valorizzazione, perché non permette la circolazione internazionale delle opere importanti e ne danneggia la visibilità e il mercato”.
Fonte: Il Sole 24 Ore