Media, la narrazione della realtà cambia coinvolgendo le diversità
La copertura data dai sette telegiornali italiani alle notizie Lgbtq+ nel 2023 è stata dello 0,4%, secondo il Diversity Media Report. Una percentuale raddoppiata rispetto all’anno precedente (0,2%), ma certo sempre infinitesimale. «Quello 0,4% è agghiacciante» commenta Francesca Vecchioni, presidente della Fondazione Diversity, che insieme all’Osservatorio di Pavia, ogni anno conduce lo studio sulla rappresentazione inclusiva nei media italiani di informazione e intrattenimento.
«L’informazione italiana è perlopiù informazione politica e si occupa delle questioni Lgbtq+ in senso politico«, prosegue la Vecchioni, «Il tema della rappresentazione invece è anche sentire parlare di persone Lgbtq+ non solo per discutere di diritti o perché coinvolte in casi di cronaca». Un dato, quello dei telegiornali, che va letto anche alla luce dell’audience: basti considerare il fatto che fra gli ultra 64enni il 96% guarda abitualmente le reti Rai, mentre le percentuali sono via via più basse se si va alle fasce di popolazioni più giovani e quindi più predisposte al cambiamento sociale che l’Italia sta vivendo.
Lo spartiacque delle unioni civili
Una spinta positiva nella rappresentazione dei media in generale della comunità Lgbtq+ è venuta certamente dall’approvazione delle unioni civili nel 2016. «Molti muri sono crollati anche nella capacità di narrare queste storie e l’Italia ha potuto fare passi avanti, che in altri Paesi europei erano già stati fatti» osserva Vecchioni, che aggiunge: «Il riconoscimento a livello normativo ha rappresentato quindi un volano positivo e la rappresentazione della comunità Lgbtq+ è migliorata. È stato come se fosse caduto un tabù, che per altro era già caduto a livello sociale».
I programmi tv
La presenza di personaggi queer all’interno delle tradizionali televisioni lineari è andata quindi crescendo, ma questo non sempre si è accompagnato con una rappresentazione che andasse oltre gli stereotipi. «I programmi televisivi fanno il grande errore di dare per scontato che il loro pubblico sia poco competente sui temi Lgbtq+ e questo porta a ripetere meccanismi di intrattenimento già conosciuti, con volti della comunità ampiamente sdoganati e rassicuranti».
Produzioni digitali
Chi invece non deve preoccuparsi di creare un palinsesto diviso per fasce orarie e tipologia di pubblico presente in quella fascia, è il digitale. Questa maggiore libertà editoriale, si riflette in una produzione di contenuti vasta e varia, in grado di fornire una rappresentazione della comunità Lgbtq+ più vicina alla società reale. «La questione, sul digitale, è la capacità di navigare tra questi contenuti» precisa Francesca Vecchioni, «riuscendo a scegliere e trovare quelli che esprimono le competenze migliori. Le generazioni più grandi sicuramente hanno più difficolta, e questo potrebbe rappresentare un limite».
Fonte: Il Sole 24 Ore