Mediobanca, partire dal linguaggio per costruire l’inclusività
«Spesso il modo in cui parliamo – si legge nel contributo – divide il mondo in due categorie, in due modelli di riferimento che sembrano assoluti: femmina/maschio. Questo porta con sé alcuni comportamenti ritenuti socialmente accettati, accettabili e “normali”, senza lasciare spazio per altre possibilità. Il nostro linguaggio può, invece, ridarci quello spazio, per mettere in pausa la visione binaria del mondo, che trasmettiamo anche con le nostre parole. Per favorire questo cambiamento, potrebbe essere di aiuto prendere consapevolezza del significato di alcuni termini che spesso vengono confusi tra loro».
Nel capitolo è contenuto anche un glossario di terminologie utili a comprendere come parlare di e con la comunità Lgbtqia+, e risponde anche all’obiezione: ma se sono fatti privati, perché è proprio necessario parlarne sul lavoro? «Perché, se siamo eterosessuali, non abbiamo problemi a raccontare sul lavoro fatti che riguardano la nostra vita privata, mentre sesiamo gay è quasi un tabù? Che differenza c’è? In realtà nessuna, eppure una frase come quella citata potrebbe capitare. Chiunque di noi, indipendentemente dal proprio orientamento affettivo e sessuale, ha bisogno di connessione, vicinanza, contatto e affetto. Allora perché vedere delle differenze nelle nostre vite private? Utilizzando un linguaggio più aperto alle diversità affettive altrui, possiamo contribuire a creare un ambiente di lavoro più “sicuro”, da un punto di vista emotivo e psicologico. E questo può favorire maggiori occasioni in cui le persone scelgono di raccontarsi, nella misura in cui vogliono».
Chi dimostra maggiore apertura verso il linguaggio inclusivo?
Per dare risposte alla necessità di sviluppare un linguaggio condiviso e inclusivo, il Gruppo Mediobanca è partito da una prima fase di ascolto interna, guidata dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, per indagare le radici e i contenuti di resistenze e ritrosie tra la popolazione aziendale. La ricerca “E se fossi tu?” coordinata da due docenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e promossa dal Gruppo Mediobanca, in collaborazione con l’azienda di formazione Diversity and Inclusion Speaking, si è conclusa con una survey destinata a tutta la popolazione aziendale, coinvolgendo 1110 dipendenti.
Ne è emerso che chi vive maggiormente in prima persona gli effetti di un linguaggio poco attento e rispettoso, come la popolazione femminile e quella che appartiene ai gruppi di minoranza, dimostra maggiore apertura e sensibilità verso una comunicazione più inclusiva. L’opposto avviene, invece, per la popolazione maschile e chi appartiene ai gruppi maggioritari (persone eterosessuali, senza disabilità e non appartenenti a gruppi etnici di minoranza nel nostro Paese).
In particolare, il 44,8% delle donne (rispetto al 32,6% degli uomini) sarebbe molto interessato a ricevere formazione e approfondire il tema del linguaggio inclusivo. A conferma di questa tendenza, vediamo che il 46,3% delle persone appartenenti a gruppi minoritari dichiara una piena disponibilità ad approfondire il tema, tramite formazione e aggiornamenti, mentre i gruppi maggioritari sono più resistenti, dimostrando interesse e disponibilità solo nel 36,3% dei casi.
Fonte: Il Sole 24 Ore