Mercati, investimenti, strategie: le sfide chiave per il settore

Un momento critico, sfidante, di cambiamento epocale. Ha molte sfaccettature la fase di grande incertezza che la moda e il lusso stanno attraversando. Il sistema italiano, secondo le elaborazioni del centro studi di Camera moda, chiuderà il 2024 con un -3,5% dei ricavi, a quota 97,7 miliardi; il lusso mondiale, secondo le stime di Bain&Co, dopo anni di crescita sta registrando un anno flat, probabilmente negativo in valore: «Il mercato sarà comunque negativo in termini di volumi e numero di consumatori – dice Claudia D’Arpizio, senior partner di Bain&Co -. Tra le turbolenze sociopolitiche e il punto di domanda che tuttora persiste sulla Cina si è verificata una sorta di tempesta perfetta».

I fronti aperti sono molti: la frenata di mercati maturi come Stati Uniti ed Europa, che avevano però sostenuto in modo più che brioso la ripartenza post pandemia; la mancata ripresa di quello che è tuttora considerato il più rilevante mercato del lusso al mondo, la Cina. Con le conseguenze economiche dello scoppio della bolla real estate a complicare le cose. E, ancora: i costi e i tempi della logistica, sui quali pesa la guerra in Medio Oriente. Infine, i comportamenti dei consumatori che sembrano interessati a spendere più in esperienze e meno in prodotti, che negli ultimi due anni si sono – oltretutto – fortemente apprezzati e risultano oggi off limits per molte fasce di consumatori. Situazioni che impongono un lavoro serrato sulle strategie.

I conti deludenti dei gruppi e le reazioni del mercato

Si parte, come spesso accade, dai numeri. E lo scenario è tutt’altro che omogeneo. I principali gruppi del lusso hanno archiviato la prima metà del 2024 con risultati poco positivi: Lvmh e Richemont hanno chiuso in sostanziale stabilità – il primo ha registrato ricavi per 41,7 miliardi (-1%), il secondo ha chiuso il primo trimestre dell’anno fiscale 2025 con vendite per 5,27 miliardi (+1% a cambi costanti) – mentre Kering ha confermato il momento difficile con un -11% nei ricavi e il marchio ammiraglia Gucci a -20 per cento. Negativi anche i risultati di player più piccoli come Salvatore Ferragamo e Aeffe Group. Mentre Moncler, Prada, Zegna e Brunello Cucinelli hanno tenuto il segno più davanti al trend dei ricavi. Le prime risposte su come andrà la seconda parte dell’anno per le grandi aziende – che, nel complesso, per la moda made in Italy dovrebbe segnare un piccolo miglioramento rispetto al 1° semestre, arriveranno a partire dal 23 ottobre, quando è atteso il bilancio del terzo trimestre di Kering. Il mercato, nel corso di quest’anno, non ha certo premiato i titoli del lusso (al netto di alcune eccezioni, come Brunello Cucinelli) e questo, per esempio, ha scoraggiato quotazioni già in fase avanzata come quella di Golden Goose. Anche la quotazione di Otb, il gruppo fondato da Renzo Rosso, inizialmente prevista per il 2025 dovrebbe essere slittata di un anno. «Il costo di fare business è sicuramente aumentato – continua D’Arpizio – perché le aziende devono investire in tecnologia, sostenibilità, controllo della filiera. I grandi player hanno la marginalità per farlo, ma basta guardare ad aziende leggermente più piccole perché emergano delle difficoltà».

Le difficoltà delle piccole aziende

Il tema finanziario non è solo appannaggio dei grandi gruppi quotati o attirati dal listing. Le aziende medie e piccole sono alle prese con una serie di cambiamenti che impongono investimenti massicci: la sostenibilità, per esempio, con le norme europee (regolamento Ecodesign, direttive Csrd e Csddd, tutti in vigore da quest’anno), che cambieranno lo scenario se non globale, almeno comunitario del sistema moda. Altri investimenti devono essere diretti al mantenimento della competitività, con i giganti asiatici del fast fashion (tra gli altri) che sono entrati con decisione sul mercato europeo e americano dopo il Covid. Sfide non semplici da intraprendere, soprattutto con il costo del denaro che, al netto di un primo taglio dei tassi fatto dalla Bce prima dell’estate, rimane alto. Tra le richieste del sistema moda al governo, presentate al Tavolo della moda al Mimit lo scorso 6 agosto, figura proprio una moratoria per i prestiti contratti dalle imprese durante il Covid garantiti da Sace, Simest e Mcc che, appunto, le imprese non riescono a restituire. Il rallentamento del lusso di cui sopra, infatti, ha frenato la produzione delle imprese italiane che stanno facendo ricorso massiccio agli ammortizzatori. Secondo Smi nei primi mesi del 2024 il ricorso alla cassa integrazione da parte delle aziende di moda è stato quattro volte superiore allo stesso periodo dell’anno prima e, sempre secondo la congiunturale Smi, nel 3° trimestre dell’anno a fare domanda di cassa integrazione è il 33% delle imprese.

I cambi al vertice e gli eventi

La settimane della moda – da quella di New York, al via oggi, a quella di Parigi, passando per Milano dal 17 al 23 settembre – saranno un importante test per il settore moda e lusso. Alcuni brand hanno già il programma eventi per “stimolare” i mercati più strategici (Armani a New York; Chanel e Moncler in Cina), altri sono al lavoro su prodotti e strategie, complici cambi ai vertici, creativi e non: Alessandro Michele debutterà a Parigi alla guida di Valentino; Haider Ackermann è appena stato nominato direttore creativo di Tom Ford dopo l’addio di Peter Hawkings. Rimangono scoperte posizioni più che appetibili: le direzioni creative di Chanel e di Givenchy, per esempio. Le scelte, del resto, vanno pesate con cura, specie in un momento decisivo come questo. «Non ci sono cause strutturali di crisi del mercato del lusso, ma credo che se i brand non lavoreranno su una maggiore inclusione della clientela, parte della quale è stata tagliata fuori dall’aumento dei prezzi, in un momento socialmente critico come questo c’è il rischio che quella clientela li abbandoni»

Fonte: Il Sole 24 Ore