Messaggi WhatsApp con efficacia probatoria nel processo civile
Con l’ordinanza 1254/2025, la Cassazione ha confermato l’orientamento di merito riconoscendo valenza probatoria alla messaggistica digitale WhatsApp nei giudizi civili.
Il caso
Il caso ha avuto origine dall’opposizione contro un decreto monitorio ottenuto da una società per il pagamento di serramenti. Il Tribunale, ritenendo insufficiente la prova del credito, ha accolto l’opposizione. La Corte d’appello, invece, ha riformato l’esito del primo grado poiché ha ritenuto provato con un messaggio WhatsApp il debito relativo alla fattura a sostegno del monitorio. L’ingiunto ha presentato ricorso alla Suprema corte, contestando l’uso della copia fotografica del messaggio WhatsApp e sostenendo che non era stata garantita la certezza sulla provenienza e autenticità dell’autore.
Il ricorso è stato rigettato con conferma della valenza probatoria dei messaggi conservati nella memoria del telefono cellulare. L’articolo 633 del Codice procedura civile, nel disciplinare le condizioni di ammissibilità della tutela monitoria, prevede che su istanza del creditore di una somma di denaro il giudice emette l’ingiunzione di pagamento «se del diritto fatto valere si dà prova scritta» (non specificando se debba essere cartacea o anche digitale). La Cassazione ha evidenziato che i messaggi WhatsApp sono considerati prove documentali, legittimamente acquisibili anche tramite riproduzione fotografica (come, ad esempio, gli screenshot delle chat). La validità dipende dalla possibilità di verificare la provenienza e l’affidabilità del contenuto.
L’efficacia probatoria
I messaggi WhatsApp sono documenti elettronici che rappresentano atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti e, pur non essendo firmati, rientrano nel novero delle riproduzioni informatiche previste dall’articolo 2712 del Codice civile. Ne consegue che hanno piena efficacia probatoria sempreché la parte contro cui vengono prodotti non disconosca la conformità ai fatti rappresentati.
Tali messaggi sono annoverati tra le prove documentali conosciute dal nostro ordinamento tramite una qualificazione nei termini di riproduzione informatica. L’uso di WhatsApp è ormai largamente diffuso nelle interlocuzioni personali e, grazie all’utilizzo su Pc e cellulari, sta diventando più frequente anche nei contesti lavorativi e commerciali. I messaggi salvati sulla memoria di un telefono cellulare sono da considerarsi prove documentali e possono essere legittimamente acquisiti tramite riproduzione fotografica. Ciò significa che i messaggi estratti da una chat sono utilizzabili come prova digitale sempreché sia possibile verificarne la provenienza e l’affidabilità.
Fonte: Il Sole 24 Ore