Miele, obbligo Ue di indicare in etichetta il Paese di provenienza

Miele, obbligo Ue di indicare in etichetta il Paese di provenienza

Il mondo del miele italiano plaude all’obbligo dell’indicazione di origine in etichetta. «Abbiamo approvato lo stop europeo alle sempre più frequenti frodi alimentari che riguardano il miele, vietando i prodotti adulterati e di provenienza sconosciuta». Così Paolo De Castro e Camilla Laureti, membri Pd della Commissione agricoltura del Parlamento Ue, commentano l’approvazione all’unanimità della posizione ComAgri sulla Direttiva Colazione, che fissa nuove norme di denominazione di vendita e di etichettatura di determinati prodotti alimentari di largo consumo.

Una richiesta da tempo attesa dal settore. La produzione italiana, infatti, è a rischio, stretta tra i consumi interni in calo e l’aumento dei costi di produzione. «Il quadro delle criticità nazionali – dice Raffaele Cirone, presidente Fai-Federazione apicoltori italiani – è aggravato dalla concorrenza sleale dei Paesi europei che sono al tempo stesso piazze di confezionamento ed esportazione di miele extracomunitario nazionalizzato e usato per le miscele del prodotto collocato nei mercati dalla Gdo e dall’industria italiana».

Il prezzo medio del miele importato è, infatti, pari a 3,80 euro/chilo, contro i 4,56 di quello esportato (dati Fai e Istat). Un dislivello che penalizza il prodotto nostrano.
«L’Italia è storicamente deficitaria di miele: oltre la metà del fabbisogno nazionale arriva dall’estero – dichiara Giuseppe Cefalo, presidente Unaapi – soprattutto destinato all’industria di trasformazione, e a prezzi bassissimi. La redditività per i produttori italiani è sotto i costi di produzione». Secondo l’Unione nazionale associazioni apicoltori italiani, la sostenibilità economica delle aziende apistiche è fortemente compromessa anche dall’aumento dei costi di produzione – principalmente per carburante, alimentazione di soccorso per le api ed energia – stimabile nell’ordine del 35% in più rispetto al periodo 2018/2020. In un documento indirizzato al Masaf l’associazione aveva chiesto misure urgenti per assicurare il collocamento del miele italiano, tra cui una campagna di informazione, la creazione di un sistema di qualità nazionale basato su criteri oggettivamente misurabili, accordi con la grande distribuzione per non derogare sugli aspetti etici e di sostenibilità – riposizionando il prodotto a un prezzo giusto e remunerativo per tutti gli attori della filiera – e il potenziamento dei controlli per impedire le pratiche sleali e l’invasione di mieli adulterati.

Ma quanto vale questo prodotto oggi in Italia? Il mercato del miele confezionato per il consumatore finale pesa per il 2022 circa 164 milioni di euro, +3,5% sul 2021 (fonte: Circana). A questo si somma il valore del mercato del miele destinato alle industrie (alimentare, cosmetica, farmaceutica ecc.) che lo utilizzano come ingrediente e che per il 2022 è stimabile in circa 21 milioni di euro (+16%). Il tutto per un valore totale di 185 milioni di euro (+ 5% sul 2021). Nell’ultimo anno, sono state vendute al consumatore 14,1 mila tonnellate di miele confezionato, segnando -5,7% sullo stesso intervallo luglio 2021/2022 (fonte: Niq) per un totale di 32 milioni di confezioni di miele, con un consumo pro capite di 400/450 grammi (fonte: Unione Italiana Food).

Sul fronte della produzione, tenuto conto del costante aumento di alveari presenti sul territorio italiano (1,57 milioni, +8% sul 2021 e +29% rispetto al 2017), la stagione 2023 conferma il trend in calo degli ultimi 10 anni. Questo nonostante nel 2022 la produzione di miele sia risultata in forte recupero (+90%) rispetto all’anno precedente, quando si era avuto un picco particolarmente negativo, e abbia superato le 23mila tonnellate (dati Ismea).

Fonte: Il Sole 24 Ore