Migranti, centri in Albania ora appesi alle piogge: ecco costi e incognite

Bisognerà attendere ancora per l’apertura dei nuovi centri per i migranti in Albania. I primi 400 posti non dovrebbero vedere la luce neanche la prossima settimana. Tanti gli imprevisti che hanno rallentato il decollo delle due strutture nelle aree di Shengjin e di Gjader che, secondo il protocollo d’intesa Italia-Albania siglato il 7 novembre e ratificato con la legge 14/2024, avrebbero dovuto vedere la luce a fine maggio e ospitare non oltre 3mila migranti contemporaneamente: alla fine ci si fermerà a poco più di un migliaio tra quelli soccorsi in acque internazionali, diretti in Italia e provenienti dai cosiddetti Paesi “sicuri”.

L’ultimo intralcio ai lavori: dopo il caldo anomalo, le piogge incessanti

«Difficoltà operative». Così la premier Giorgia Meloni alla riunione del Consiglio dei ministri del 30 agosto aveva definito gli inciampi, aggiungendo: «Le stiamo superando una a una perché crediamo molto in questo progetto innovativo, che la maggioranza degli Stati membri Ue ha chiesto alla Commissione di prendere a modello. Siamo consapevoli di avere gli occhi puntati addosso, e per questo siamo intenzionati a fare tutto a regola d’arte». Dopo il caldo anomalo dell’estate, l’ultimo ostacolo è stato rappresentato invece dalle piogge incessanti che hanno rallentato i lavori dell’azienda albanese chiamata a posare l’asfalto sull’area destinata all’hotspot sulle colline di Gjader (dove sorgeva una base militare), che si è rivelata la struttura più problematica a causa della tenuta del terreno. Anche di questo si è parlato alla riunione a Palazzo Chigi presieduta il 12 settembre dal sottosegretario Alfredo Mantovano, presenti i ministri coinvolti e il prefetto di Roma Lamberto Giannini.

Quali centri nasceranno

Il puzzle da comporre è molto complesso. In base al bando pubblicato il 21 marzo dalla prefettura di Roma, i centri che vedranno la luce sono di tre tipi: a Shengjin ci sarà l’hotspot per lo sbarco e l’identificazione dei migranti soccorsi in acque internazionali, quasi pronto, mentre a Gjader dovrebbero nascere una struttura di prima accoglienza da 880 posti per i richiedenti asilo, dove saranno applicate le procedure accelerate di frontiera per decidere se avranno diritto alla protezione oppure dovranno essere rimpatriati (la prefettura di Roma avrà 28 giorni di tempo per valutare), e un centro di permanenza per il rimpatrio da 144 posti. Previsto anche un istituto di pena, con una capienza di 20 persone al massimo, per i migranti eventualmente destinatari di misure cautelari per reati commessi nelle strutture.

Il rebus dei costi

La realizzazione e la gestione dei centri sono a carico dell’Italia (per circa 62 milioni di euro), ma i costi non finiscono certamente qui e appaiono come il rebus più complicato da risolvere. Le spese elencate nella legge di ratifica ammontano a circa 650 milioni e ricomprendono una grande varietà di voci, dalla manutenzione alle assunzioni, dalle assicurazioni alle trasferte del personale dall’Italia: quest’ultima è la voce più consistente (oltre 250 milioni). Per il noleggio della nave la «consultazione preliminare del mercato» lanciata dal Viminale parla di un massimo di 13,5 milioni per tre mesi. La cooperativa Medihospes si è aggiudicata l’appalto per gestire l’accoglienza per 24 mesi con un’offerta di 133,8 milioni di euro. Il 5 giugno, in visita a Tirana, Meloni aveva ricordato che «complessivamente i fondi assegnati per l’attuazione del protocollo ammontano a 670 milioni di euro per cinque anni, quindi 134 milioni di euro l’anno, che corrispondono al 7,5% delle spese connesse all’accoglienza dei migranti sul territorio nazionale e noi siamo convinti che queste risorse non siano da considerarsi un costo aggiuntivo». Secondo i calcoli di Palazzo Chigi, «con l’attuale capienza di questi centri a pieno regime, considerando i migranti che non vengono accolti in Italia, risparmieremo 136 milioni di euro».

La stima dell’Interno: circa 160 milioni l’anno per cinque anni

Ma, anche a causa degli imprevisti, i costi sarebbero di più: al Question Time del 7 agosto alla Camera, il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi ha parlato di «circa 160 milioni l’anno», arrivando così agli 800 milioni in cinque anni (tanto dura il protocollo, rinnovabile per altri cinque anni) più volte evocati dalle opposizioni come «uno spreco di denaro pubblico». Per il titolare del Viminale, invece, «si tratta di un investimento che consentirà di abbattere le spese della gestione dell’accoglienza, che, a oggi, sono pari a circa 1,7 miliardi di euro l’anno, che il governo in carica ha ereditato da epoche precedenti, caratterizzate da arrivi massicci e incontrollati di migranti».

Fonte: Il Sole 24 Ore