Migranti e Paesi di origine sicura, scontro tra governo e giudici: ecco cosa dicono le regole Ue
Con il recente decreto sui “paesi sicuri”, attualmente all’esame del Senato, il Governo è intervenuto per definire con una norma primaria ciò che fino a poche settimane prima era definito da un decreto interministeriale. Una mossa che ha avuto l’obiettivo di rendere operativi i centri di identificazione in Albania. Sul concetto di “Paese sicuro” è andato in scena uno scontro con i giudici. Il tribunale di Bologna ha rinviato il provvedimento (decreto legge 158/2024) alla Corte di Giustizia europea.
Il decreto, varato all’indomani della bocciatura da parte dei magistrati del tribunale di Roma della convalida del trattenimento dei migranti portati in Albani, detta un elenco puntuale di “Paesi di origine sicuri” (Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia), da aggiornare periodicamente con atto avente forza di legge; inoltre prevede, circa l’individuazione dei Paesi di origine sicuri, una informativa annuale del Governo, mediante una relazione trasmessa alle competenti Commissioni parlamentari.
Dl Paesi sicuri diventa emendamento, opposizione insorge
L’esecutivo ha deciso di accorpare questo provvedimento al decreto Flussi, che è all’esame della Camera (arriverà in Aula il 21 novembre), commissione Affari costituzionali, ed è stato varato nel tentativo di superare la prassi del clic day per l’ingresso di lavoratori stranieri. La sceltà è stata criticata dalle opposizioni in quanto, sostengono, in questo modo non si rispetta il Parlamento.
La domanda del tribunale di Bologna: «Anche Germania nazista paese sicuro?»
È proprio sulla definizione di “paese sicuro” che si fonda il lungo quesito che il tribunale ha inviato in Lussemburgo, entrando però anche nel merito e contestando il principio per cui potrebbe definirsi sicuro un Paese in cui la generalità, o maggioranza, della popolazione viva in condizioni di sicurezza, visto che il sistema di protezione internazionale si rivolge in particolare alle minoranze minacciate e perseguitate. Portando anche il paradosso che la Germania nazista fosse stata estremamente sicura per la stragrande maggioranza della popolazione tedesca, ad eccezione di ebrei, omosessuali, oppositori politici e rom. Il tribunale ha chiesto se, in base a questa definizione, l’ordinamento europeo continui ad essere prevalente sulla legge italiana.
Cosa dicono le regole Ue
Il riferimento, come ricorda un approfondimento dell’Ufficio studi di Camera e Senato, è la direttiva 2013/32/Ue del Parlamento e del Consiglio del 26 giugno 2013, che consente agli Stati membri dell’Unione europea di applicare specifiche norme procedurali – in particolare procedure accelerate e svolte alla frontiera o in zone di transito – se il richiedente è cittadino di un Paese (o apolide in relazione a un Paese terzo di precedente residenza abituale) che è stato designato come Paese di origine sicuro dal diritto nazionale e che, inoltre, può essere considerato sicuro per il richiedente in funzione della sua particolare situazione.
Fonte: Il Sole 24 Ore