Migranti, le rassomiglianze di Meloni e Sanchez sui flussi «regolari»
I paragoni fra leader possono essere oziosi. L’ultimo viaggio del premier spagnolo Pedro Sanchez, un tour de force fra Mauritania, Gambia e Senegal, è riuscito a farne emergere uno di impatto: quello fra lo stesso Sanchez e la sua omologa italiana Giorgia Meloni. Sulla carta le rasssomiglianze fra i due sono nulle, a cominciare dall’antitesi fra un volto della socialdemocrazia Ue e quello dei Conservatori e riformisti a Bruxelles. Nella sostanza le politiche dei due trovano qualche analogia proprio su uno dei terreni i conflitto aperto fra le forze progressiste e conservatrici su scala comunitaria, la gestione dei flussi migratori. Sanchez sta rinnovando la sua agenda di accordi con i Paesi d’origine, espulsioni e stimolo alla migrazione «regolare», con l’esito di ritrovarsi su una lunghezza d’onda simile a quella della sua omologa italiana. I presupposti teorici non potrebbero essere più diversi, fra le difesa del diritto a migrare ribadita da Sanchez e la linea dei respingimenti cavalcata da anni da Meloni. Le politiche attuate lo sono di meno, soprattutto quando si parla di un approccio agli ingressi «regolari» dei migranti.
Il capitolo migratorio è uno dei pilastri della strategia politica di Giorgia Meloni, la premier italiana alla testa di una coalizione di destra dall’autunno del 2022. Ai tempi della campagna elettorale e della stagione pre-governativa, Meloni insisteva sui toni e la retorica più ordinarie delle forze ultra-c0nservatrici: dagli allarmi sulla «invasione» alle accuse di incompetenza mosse ai governi «di sinistra» nella gestione degli sbarchi, passando per la battaglia ideologica alle organizzazioni governative impegnate nelle operazioni di salvataggio nel Mediterraneo. Con l’approdo al governo, gli umori e la linea di fondo sono rimasti gli stessi. Ma l’approccio è cambiato, adattandosi alle «complicazioni» emerse nel balzo dalla polemica politica degli anni dell’opposizione all’amministrazione della cosa pubblica da Palazzo Chigi. Se si guarda ai numeri degli sbarchi, il termometro più mediatico sul fenomeno, i primi otto mesi del 2024 hanno fatto registrare 41.181 arrivi: un calo brusco rispetto ai 113.877 del 2023, nel primo anno pieno di governo Mel0ni, ma più contenuto rispetto ai 56.458 del 2022. Un bilancio ondivago, come gli stessi programmi del governo in materia. In origine, la proposta ribadita da Meloni e il suo partito Fratelli d’Italia era quella di un «blocco navale» tout court: un’iniziativa che sarebbe consistita nello sbarramento totale dei flussi, sfumata in fretta dopo l’ascesa al governo di Meloni.
«Quando non si è realizzata, perché impossibile, il governo ha messo in atto strategie simili a quelle degli esecutivi – anche di sinistra! – che l’hanno preceduta» fa notare Matteo Villa, ricercatore del centro studi italiano Ispi. Nel dettaglio, spiega Villa, le linee guida della strategia migratoria del governo sono tre: l’esternalizzazione delle frontiere, con accordi di collaborazione nelle mete di partenza simili a quello siglato con la Tunisia di Kais Saied e allargato a un’intesa Ue; il contrasto alle operazioni delle Ong nel Mediterraneo, accusate di fungere da elemento di attrazione (pull factor) per la partenza di sbarchi e limitate con interventi ad hoc; l’esternalizzazione degli arrivi, un modello tentato in intese come quella siglata con l’Albania: la creazione di centri fuori dal perimetro italiano per il “soggiorno” dei migranti in attesa di rimpatrio.
L’approccio «tunisino» e il calo dei migranti in Italia
L’unico che sembra aver inciso davvero sul calo dei numeri è il primo modello, quello del controllo delle frontiere di partenza, in un déjà-vu rispetto all’intesa già rodata dal ministro di centro-sinistra Marco Minniti nel 2017 con la Libia. «È efficace (la cooperazione, ndr) quando i partner hanno un incentivo nel cooperare, come nel caso delle milizie libiche o del presidente tunisino Saied» fa notare Villa, sottolineando il contraccolpo più evidente delle intese: la «brutalità» imputata alle milizie libiche nella intesa con Tripoli e i casi di «deportazione» contestati alle autorità tunisine dopo l’ultima intesa con la Ue, a partire dai migranti trasportati e abbandonati sui confini desertici del Paese.
In un video, pubblicato dal Ministero dell’Interno libico sulla sua pagina Facebook, si vede un gruppo di giovani esausti che viene abbandonato in mezzo al deserto. Ci sono anche bambini. Una delle testimonianze afferma che sono rimasti per due giorni finché non sono stati trovati; un’altra che sono stati picchiati dai soldati tunisini e portati nel deserto, dove è stato detto loro di attraversare la Libia. Nel luglio 2023, l’UE ha firmato con un tratto di penna un accordo con il governo tunisino, sostenuto dal primo ministro italiano Giorgia Meloni, affinché la Tunisia blocchi le traversate in mare e acceleri il ritorno di coloro che cercano di raggiungere l’Europa dal suo territorio.
L’esternalizzazione non è una novità per l’UE né un’esclusiva della Meloni. Un miliardo di euro è stato concordato, in un patto simile a quello raggiunto nel 2016, con la Turchia, per 6 miliardi di euro, dove oltre al denaro è stato approvato che i cittadini turchi possano viaggiare in Europa senza visto. Lo stesso era stato fatto in precedenza con la Libia di Gheddafi, che in un vertice a Tripoli aveva chiesto 4 miliardi di euro per evitare che l’Europa “diventasse nera”. La Tunisia da sola ha rappresentato circa 100mila degli oltre 151mila arrivi registrati nel 2023, di cui circa 80mila provenienti da altri Paesi africani. Il polso di ferro esibito da Saied sembra aver favorito questi risultati. «Non credo che i governi vogliano che le persone muoiano, ma sono disposti ad accettare che le persone soffrano e muoiano in cambio del fatto che non arrivino» afferma Gonzalo Fanjul, ricercatore e direttore di ricerca dell’organizzazione PorCausa. In questo senso, «la Spagna sta applicando lo stesso giro di vite dell’esternalizzazione del controllo della migrazione che ha applicato per anni», continua Fanjul.
Fonte: Il Sole 24 Ore