Morandi rubato? Confisca del ricavato della vendita senza considerare il costo

Morandi rubato? Confisca del ricavato della vendita senza considerare il costo

Una natura morta di Giorgio Morandi, oggetto di furto prima e di ricettazione poi, costa all’amministratore della galleria d’arte una condanna per autoriciclaggio e alla società il sequestro dell’intero ricavato dalla vendita dell’opera senza detrarre il costo. La Cassazione ha così avallato la decisione del giudice per le indagini preliminari di disporre la confisca dell’intero ricavato dalla vendita del quadro del grande pittore bolognese, pari a 750mila euro, e non solo del ricavato della alienazione detratti i costi sostenuti per l’acquisto – dal ricettatore – della preziosa tela pagata 470mila euro. Ad avviso dei ricorrenti il profitto dell’autoriciclaggio contestato doveva «essere individuato nella plusvalenza che deriva da sostituzione dei beni» . L’esatta misura della confisca era dunque di 280mila euro. A tanto ammontava «l’effettivo incremento patrimoniale di cui aveva goduto il soggetto autore delle operazioni di autoriciclaggio».

L’orientamento della Cassazione

Una tesi che la Suprema corte non condivide. I giudici di legittimità, nel tracciare il perimetro dei proventi confiscabili nei reati di riciclaggio, beni o utilità di provenienza illecita e autoriciclaggio, precisa che accanto alla confisca – che colpisce il patrimonio della persona fisica e dunque il rappresentante legale, il dirigente, il soggetto apicale o chi altro abbia commesso il reato -, l’ordinamento contempla la confisca nei confronti dell’ente come previsto dall’articolo 19 del Dlgs 231/2001. E tra i reati contemplati dalla norma sulla responsabilità dell’ente atteso (articolo 25-octies) c’è l’autoriciclaggio.

Nel caso esaminato la somma di denaro confiscata è il profitto dell’attività di autoriciclaggio commessa dal manager nell’interesse dell’ente. La Cassazione precisa che «si è in presenza di un cosiddetto reato-contratto, atteso che lo strumento negoziale ha costituito la sede di incontro delle volontà illecite, realizzando l’offesa stigmatizzata dalla norma incriminatrice». Per questo, concludono gli ermellini, «quando l’illecito penale si immedesima integralmente con il contratto concluso dalle parti, determinandone peraltro la nullità per contrarietà a norme imperative, la confisca attinge l’intero ricavo da esso derivante, poiché non vi è alcuna ragione di operare una differenziazione ai fini della quantificazione del profitto rilevante rispetto ai costi sostenuti».

Fonte: Il Sole 24 Ore