Morire di Tso, il caso Mastrogiovanni in podcast

Uno degli aspetti che, più di ogni altro, segna un netto discrimine tra democrazie e autocrazie è la legge. Dove vige lo stato di diritto nessuno sfugge alla legge. O almeno dovrebbe. E questo vale a maggior ragione nei luoghi della vita pubblica: scuole, tribunali, ospedali, carceri… Ogni cittadino che nutra fiducia nelle istituzioni, in linea di principio, sarebbe normalmente portato a pensare che ciò che accade in questi luoghi sia sottoposto al più rigido scrutinio. Nelle mani dello Stato si è istintivamente portati a pensare che nulla di male ci possa accadere. E, nella stragrande maggioranza dei casi, questo è ciò che avviene. Anche grazie alla dedizione di tante persone che, nella quotidianità, assolvono i propri doveri nel rispetto del servizio pubblico.

Eppure, nel corso della storia recente, nono sono mancate tante dolorose eccezioni. C’è stata la scuola Diaz, dove le forze dell’ordine irruppero nel corso del G8 di Genova massacrando di botte decine di ragazzi inermi. Ci sono gli innumerevoli casi di malagiustizia o malasanità. Ci sono i suicidi in carcere. Ci sono le persone ammazzate di botte dalle forze dell’ordine come Stefano Cucchi o Federico Aldrovandi, per citare i più noti. E poi ci sono tante altre storie di cui si è persa traccia ma che comunque meritano di essere raccontate. Come quella di Franco Mastrogiovanni, ricostruira in “Come una Marea”, il nuovo podcast originale di Radio 24, scritto da Francesca Zanni ed Enrico Bergianti.

Morte in diretta

«I familiari di Franco mi hanno raccontato che, se qualcuno avesse loro raccontato le circostanze in cui il loro caro è deceduto, non gli avrebbero creduto» racconta l’autrice Francesca Zanni che ha ricostruito, insieme ad Enrico Bergianti, l’assurda morte di questo maestro elementare di 58 anni avvenuta il 4 agosto 2009. Assurda e insensata come può essere un’agonia durata 80 ore all’interno dell’ospedale San Luca di Vallo della Lucania (provincia di Salerno) in cui Franco fu ricoverato il 31 luglio fino al giorno della sua morte. Un calvario registrato minuto per minuto dalle telecamere di sorveglianza della struttura. Immagini da cui è partito un complicato procedimento giudiziario raccontato nel podcast. Immagini che sono un pugno allo stomaco per chiunque, non solo per i familiari che, vedendole, si sono dovuti arrendere all’evidenza dell’impensabile.

Il tradimento di Basaglia

Troppo assurda, disumana, incredibilmente ingiusta la fine di questo maestro elementare di 58 anni. Una storia in cui tutto è sbagliato. A partire dalla scelta delle autorità di ricorrere allo strumento del Tso per una persona in evidente disagio psichico ma che poteva e doveva essere curata in modo diverso. «Il trattamento sanitario obbligario – spiega Zanni – è una misura estrema che può essere disposta solo in presenza di tre precise condizioni: l’emergenza della situazione, il rifiuto delle cure, la mancanza di condizioni per attuare misure alternative fuori dalle strutture ospedaliere. Nel caso di Franco nessuna sussisteva. Eppure le autorità non si fecero troppi scrupoli a rinchiuderlo. Altre due volte questo maestro elementare precario era stato sottoposto a questa misura e, nel momento del suo ultimo arresto, aveva pregato gli agenti di non rimandarlo nella struttura in cui era stato rinchiuso perché temeva che non sarebbe sopravvissuto. I fatti purtroppo gli hanno dato ragione. Ed è vergognoso che ciò sia accaduto a trent’anni dall’approvazione della legge Basaglia che, in linea di principio, avrebbe dovuto cambiare radicalmente l’approccio al problema della salute mentale. Ancora oggi assistiamo ad abusi su persone che vivono in condizione di disagio mentale. Speriamo che questo nostro lavoro serva ad accendere un faro su questi casi di cui si parla troppo poco».

Il filo rosso con il caso Aldrovandi

Francesca Zanni ed Enrico Bergianti sono noti nel mondo del podcast “Rumore” in cui raccontano la storia di Federico Aldrovandi, il diciottenne ferrarese morto a Ferrara il 25 settembre 2005 durante un controllo di Polizia. C’è un filo conduttore che lega questo lavoro a “Come una marea”? «Indubbiamente sì. Rumore è stato utile a riportare a galla una storia di ingiustizia. Anche la storia di Franco Mastrogiovanni è una storia di ingiustizia. In entrambi i casi poi la potenza delle immagini ha svolto un ruolo importante. La foto del cadavere di Federico, pubblicata dalla madre, ha scosso l’opinione pubblica. Nel caso di Franco abbiamo 80 ore di girato delle telecamere di sorveglianza, fatte sequestrare dal coraggioso pm Francesco Rotondo che aprì l’indagine, che testimoniano l’orrore a cui è stato sottoposto».

Fonte: Il Sole 24 Ore