Morto un Papa se ne fa un altro (ma a che prezzo)

Morto un Papa se ne fa un altro (ma a che prezzo)

Lo stampo di Conclave di Edward Berger lo aveva già impresso Habemus Papam di Nanni Moretti con l’idea di entrare nel “corpo” di un’elezione segretissima, misteriosa, tanto spirituale quanto terrena: la nomina di un nuovo pontefice. Nella versione morettiana il punto centrale stava in una canzone della colonna sonora, Todo cambia di Mercedes Sosa, la cui sostanza, in fondo, è anche il fil rouge di Conclave. Berger però carica la sua trama di un effetto gotico rispetto a quella di Moretti, dove tutto era molto più lieve e, in fondo comico, nel solco di una Commedia all’italiana con uno stupefacente effetto profetico. Conclave è invece un giallo che entra nei meccanismi di uno Stato particolare, quello Vaticano, che contempla al suo interno correnti e fazioni politiche e conseguenti tentativi di agevolare i candidati più o meno legittimamente.

Berger ama osservare l’uomo in situazioni estreme partendo da un testo letterario, come ha già fatto per Niente di nuovo sul fronte occidental, Oscar al miglior film straniero nel 2023. La sceneggiatura di Conclave di Peter Straughan è infatti basata sull’omonimo romanzo (Mondadori, Oscar absolute, pagg. 270, € 14), che di Robert Harris scrisse dopo il conclave del 2013 in cui venne eletto l’attuale Papa, Francesco. Lo scrittore fu colpito dai volti di consumati politici dei cardinali carichi di un grande potenziale drammatico. Così è iniziata la ricerca nell’arrivare il più possibile vicino ai riti di una procedura arcana, che Berger ha trasformato in immagini molto attente ai chiaroscuri per rispettare i toni del thriller, aiutate dalla potente colonna sonora di Volker Bertelmann. Ma anche dalle visioni dall’alto e di insieme: quella spirituale dei candidi ombrelli cardinalizi per ripararsi dalla pioggia e quella dei capannelli delle congiure. L’aspetto più prezioso è forse l’insieme della ritualità liturgica raffinatissima: dai sigilli alla foggia degli abiti, alle procedure di voto e comunicazione all’esterno dell’esito. Con una attenzione speciale per gli interni dove tutto si svolge: la Cappella Sistina, luogo delle votazioni, il colonnato di San Pietro, in cui i votanti prendono un po’ d’aria, la Casa Santa Marta, dove i cardinali alloggiano durante il conclave, nei freddi ed eleganti marmi delle stanze.

A dare il via ai giochi elettorali è l’annuncio ufficiale: «Il Papa è morto. Il trono è vacante». La parola trono non è scelta a caso e scatena, per l’appunto, trame scespiriane, a partire dai dubbi sulla natura della fine del Pontefice. Poi cominciano ad affluire da tutto il mondo i leader più potenti della Chiesa cattolica, dai diversi abiti talari secondo i riti osservati per chiudersi in isolamento. Nell’urna emergono i primi candidati: i cardinali Bellini (Stanley Tucci) del Vaticano, Trembley di Montreal (John Lithgow), Tedesco di Venezia (Sergio Castellitto) e Adeyemi della Nigeria (Lucian Msamati), che potrebbe diventare il primo Papa africano della storia (e qui risuona la famosa canzone dei Pitura Freska). 

A guidare questo delicatissimo processo è il cardinale Decano Lawrence (Ralph Fiennes) con tutta la sofferenza di aver perso un amico, il Papa deceduto, e con il fardello di travagliato momento interiore. Ma soprattutto con la sorpresa e l’angoscia di vedere accanto a sé macchinazioni e duelli per prendere il potere. Il rovello che lo consuma è quello di non fare tutto il possibile per garantire alla Chiesa un capo spirituale degno di questo nome. Ma in virtù di questa nobile spinta, cosa è concesso fare al cardinale Decano? Può rompere i segreti imposti dal Papa defunto? Qual è il limite per un uomo che si è votato all’obbedienza in nome della fede? «Nessuno sano di mente vorrebbe quel trono. Gli uomini pericolosi lo vogliono», gli instilla il dubbio il cardinale Bellini, che lo mette in guardia anche da sé stesso.

Sono ottimi gli interpreti, consoni alla solennità del ruolo, su tutti Fiennes, che per questa interpretazione ha raccolto molti consensi per la gara agli Oscar, e Tucci; Castellitto migliore nella versione inglese, che in quella italiana in cui va sopra le righe.

Fonte: Il Sole 24 Ore