Mosa Meat: in Olanda tutto è pronto per gli hamburger di carne coltivata

A due passi da Maastricht, in Olanda, in un edificio elegante di vetro e cemento, tutto è pronto per avviare la produzione di centinaia di migliaia di hamburger di carne coltivata. Le cellule prelevate da bovini viventi sono già in frigorifero a -50 gradi, i bioreattori sono in funzione, il grande capannone accanto ai laboratori è pronto per riempirsi delle linee per produrre su scala industriale. Alla Mosa Meat, il primo produttore europeo di carne coltivata, si aspetta solo l’ok per vendere sul mercato di Singapore. Poi i motori verranno accesi, e la produzione partirà.

In Olanda l’opinione pubblica è favorevole e il governo sostiene la ricerca sull’innovazione alimentare. Per questo le prime fabbriche di carne hanno scelto questo Paese. Intorno all’Università di Wageningen, per esempio, sono sorti sia il Food and Biobased Research, dove anche Unilever ha aperto un centro per l’innovazione, sia i laboratori di ricerca di Umami Meats, azienda di carne coltivata con sede a Singapore. Mosa Meat invece è nata nel 2016, e in questi giorni ha aperto le porte del suo stabilimento a parlamentari e giornalisti.

Canale aperto con l’Efsa

L’obiettivo dell’azienda – che è nata partendo da un programma finanziato dal governo olandese per esplorare le opportunità della carne coltivata – è di arrivare a vendere in tutto il mondo. La capacità dello stabilimento attuale di Maastricht è già di centinaia di migliaia di hamburger bovini all’anno, ma ampliare la produzione non sarebbe difficile. Tutto dipende dalle approvazioni da parte dei governi: «L’Unione europea – spiega Valeria Teloni, italiana, responsabile Regulatory and Compliance di Mosa Meat – ha dato indicazione di voler regolare la carne coltivata allo stesso modo dei novel food». Significa che sarà l’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, a concedere di volta in volta l’autorizzazione alla vendita per ogni singolo prodotto, così come sta facendo per quelli a base di insetti.

E proprio con l’Efsa, lo scorso maggio, Mosa Meat ha già avviato una sorta di dialogo informale: «Sono fiduciosa – dice Valeria Teloni – che il processo di validazione dell’Authority sarà rigoroso e affidabile». A Bruxelles, come è noto, alla carne coltivata in linea di principio non sono contrari: «L’Unione Europea si è impegnata a finanziare la ricerca sulla carne coltivata tramite il progetto Horizon Europe», ricorda Claudio Pomo, responsabile sviluppo di Essere Animali, che come la maggior parte delle associazioni ambientaliste è favorevole alla possibilità di sviluppare prodotti puliti per l’ambiente e senza crudeltà per gli animali, perché non provengono dagli allevamenti intensivi, non richiedono l’uso di antibiotici e altri farmaci e non producono produce tonnellate di deiezioni inquinanti. «Con il piano Farm to Fork, inoltre – prosegue Pomo – la Ue si è espressa chiaramente sulla necessità di rendere più sostenibile il nostro sistema alimentare e di sostenere il settore plant-based e le innovazioni in ambito alimentare». La carne coltivata, ricordano i ricercatori di Mosa Meat, rispetto all’allevamento tradizionale permette di risparmiare il 70% di acqua, il 90% di terra e oltre il 90% di emissioni di carbonio clima-alteranti.

L’Italia e il ddl che dice no

In Italia, invece, il Senato ha già dato il via libera al disegno di legge – fortemente voluto dal ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida – che vieta l’importazione, la commercializzazione e la produzione della carne coltivata. Il provvedimento è già stato approvato dalle Commissioni riunite di Agricoltura e Affari Sociali alla Camera, e la discussione in aula a Montecitorio è prevista per novembre. Nei giorni scorsi è nato anche un piccolo giallo intorno al fatto che l’Italia avrebbe ritirato la notifica del disegno di legge al Parlamento europeo: secondo il ministro Lollobrigida, si tratta «solo di una questione formale: la notifica alla Ue è stata ritirata per rispetto nei confronti del lavoro del nostro Parlamento, una procedura attivata in altre occasioni, non solo dall’Italia». Ma non manca chi ha sostenuto che il ritiro è stato motivato dalla paura che l’Unione europea avrebbe bocciato la legge italiana per incompatibilità con le norme Ue e i libero commercio.

Fonte: Il Sole 24 Ore