Myanmar, chiesto mandato d’arresto per il capo della giunta militare
Dal nostro corrispondente
NEW DELHI – La procura della Corte penale internazionale (Icc) dell’Aja ieri ha chiesto che venga emesso un mandato d’arresto per crimini contro l’umanità a carico di Min Aung Hlaing, il generale a capo della giunta militare che dal 2021 governa il Myanmar. La richiesta è stata formalizzata dopo un’indagine durata cinque anni sulle uccisioni, gli stupri e le deportazioni di quasi un milione di rohingya, una minoranza di fede musulmana che prima di essere costretta a fuggire nel confinante Bangladesh viveva nel Rakhine, uno Stato nell’ovest dell’ex Birmania.
L’incognita dei tempi
La richiesta d’arresto è stata avanzata dal procuratore capo dell’Icc Karim Khan che, in un comunicato diffuso da uno dei campi profughi del Bangladesh in cui i rohingya vivono in condizioni disumane, ha anticipato che presto verranno avanzate richieste analoghe per altre figure di spicco della giunta.
Saranno tre giudici del tribunale penale a decidere se emettere o meno i mandati d’arresto. Si tratta di decisioni i cui tempi possono variare molto: in passato ci sono volute meno di settimane per Vladimir Putin e più di sei mesi per Benjamin Netanyahu. Il regime birmano, che da circa un anno sta combattendo contro una serie di insurrezioni in diverse regioni settentrionali di confine, ha respinto le accuse, spiegando di non riconoscere l’Icc e di praticare la «coesistenza pacifica».
Una comunità discriminata
I rohingya sono una comunità storicamente discriminata in Myanmar, tanto che non vengono neppure riconosciuti come una delle 135 minoranze etniche del Paese. Hlaing, il generale di cui la procura ha chiesto l’arresto, era già a capo delle Forze armate nel 2017 quando la sistematica distruzione dei villaggi dei rohingya costrinse alla fuga 730mila persone in quello che le Nazioni Unite hanno definito «un caso di scuola di pulizia etnica». Il generale è anche noto per avere definito i rohingya «un problema lasciato in eredità dal colonialismo britannico» e per chiamarli «bengali», un modo per dire che il loro Paese d’appartenenza sarebbe il Bangladesh.
Fonte: Il Sole 24 Ore