Nasce Quantum Heron: il chip IBM che ci porta nell’era dell’utilità quantistica

Solo pochi giorni fa Amazon Web Services annunciava i lavori in corso per lo sviluppo di un chip in grado di ovviare ai principali limiti del calcolo quantistico, un “quadrato” di dieci centimetri per dieci la cui peculiarità essenziale è quella di garantire una soppressione esponenziale del numero di errori. Un passo in avanti importante per l’informatica quantistica, hanno sottolineato i manager di Aws, che potrebbe aprire la strada un uso più diffuso di questa tecnologia. È delle scorse ore invece, un altro annuncio di peso in materia di supercalcolo, ed è arrivato da New York in occasione del Quantum Summit di IBM, evento che ha visto il colosso americano presentare Quantum Heron, il primo di una nuova serie di processori quantistici che nascono da un’architettura progettata negli ultimi quattro anni. Il plus dichiarato del nuovo chip? Raggiungere le più elevate metriche di prestazioni, nell’ordine dei 133 qubit, e toccare i minimi tassi di errore (almeno di cinque volte rispetto ai precedenti record) rispetto a qualsiasi processore quantistico IBM reso disponibile fino a oggi.

La prima macchina quantistica modulare

Quantum System Two, invece, è il nome del primo computer quantistico modulare di Big Blue, installato a Yorktown Heights, nello Stato di New York e motorizzato con tre processori Heron. L’importanza di questa macchina, che combina un’infrastruttura criogenica scalabile a server di runtime classici dotati di elettronica di controllo dei qubit modulare, la si intuisce dalla descrizione che si legge nella nota diffusa dalla società di Armonk: “una pietra miliare dell’architettura di quantum centric supercomputing”. Il percorso di sviluppo che IBM ha disegnato fino al 2033 parte dunque da queste basi (e da previste ulteriori evoluzioni a livello di hardware e software) e punta a migliorare significativamente la qualità delle operazioni con i gate quantistici, aumentando le dimensioni dei circuiti eseguibili e sfruttando di conseguenza il pieno potenziale dell’informatica quantistica su larga scala. L’accelerata che vuole dare l’azienda nordamericana all’adozione di questa tecnologia è ben riassunta da Dario Gil, SVP e Director of Research di IBM, secondo cui “siamo ormai entrati nell’era in cui i computer quantistici vengono utilizzati come strumento per esplorare nuove frontiere della scienza e da parte nostra continueremo a far progredire il modo in cui questi sistemi possono scalare e fornire valore agli utenti attraverso architetture modulari”. Le applicazioni delle macchine quantistiche targate BigBlue, in effetti, non mancano: il processore Quantum Eagle da 127 qubit è per esempio utilizzato per esplorare problemi a livello di “utility scale” nella chimica, nella fisica e nei materiali ed è al servizio dei ricercatori dell’Argonne National Laboratory del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, di diverse Università (Tokyo, Washington, Colonia, Harvard, Berkeley) e di centri di ricerca all’avanguardia come il Donostia International Physics, nonché della stessa IBM.

La Gen AI per semplificare la programmazione del software quantistico

Nel corso dell’evento di New York, IBM ha battezzato anche Qiskit 1.0, software di programmazione quantistica open source che promette funzionalità allo stato dell’arte per aiutare gli scienziati che si occupano di computing a progettare circuiti quantistici in modo facile e veloce. Secondo la società, la nuova generazione del proprio stack software è un punto di svolta in termini di stabilità e velocità e fa pendant con Qiskit Patterns, un meccanismo in grado di consentire agli sviluppatori di scrivere codice quantistico in maniera più semplice. Non è mancato, infine, un annuncio legato all’intelligenza artificiale generativa: IBM integrerà la tecnologia LLM disponibile tramite la piattaforma proprietaria watsonx per automatizzare lo sviluppo di codice quantistico per Qiskit e fare un ulteriore step in avanti nella semplificazione del modo in cui gli algoritmi quantistici vengono costruiti per l’esplorazione su scala industriale”.

Fonte: Il Sole 24 Ore