Nel Paese 10,4 milioni di madri: un giacimento di competenze ignorate
Ci sono 3,418 milioni di inattivi in Italia che dichiarano di esserlo per «motivi familiari». Di questi, il 96% sono donne. Con inattive tecnicamente si indicano nelle statistiche le persone che non solo non hanno un’occupazione fuori dalle mura domestiche, ma che non ne sono nemmeno alla ricerca. L’aggettivo inattivo, però, è assolutamente una farsa se si guarda alle giornate di molte donne scandite dai lavori domestici e dai compiti di cura.
Un insieme di oneri che, in base all’unica stima Istat disponibile, vale 557 miliardi di euro l’anno, pari al 34% del Pil, con la componente prodotta dalle donne pari a 395 miliardi di euro. Nell’Unione europea, insieme alle rumene, detengono il primato per quantità di tempo speso ogni giorno in attività di cura: cinque ore e due minuti, secondo l’Inapp, mentre gli uomini italiani, insieme ai greci (gli unici a svolgere meno di due ore di lavoro non retribuito), sono il fanalino di coda nella classifica, con due ore e 16 minuti.
Preparate ma fuori dal mondo del lavoro
Alla mancata considerazione del valore economico del lavoro informale non retribuito si aggiunge lo spreco per il Paese degli investimenti in formazione (il 65,7% delle 25-64enni ha almeno un diploma contro il 60,3% tra gli uomini e le laureate arrivano al 23,5%, contro il 17,1% tra gli uomini) e delle competenze femminili che poi non entrano nel mondo del lavoro. Talenti a cui l’Italia sta rinunciando per l’assenza di una visione strategica che costruisca un Paese in grado di valorizzare pienamente le proprie risorse.
E di emorragia di risorse si può parlare quando si analizzano i dati dell’uscita delle donne dal mondo del lavoro dopo il primo figlio: una neomamma su cinque fa un passo indietro, spessissimo perché i servizi a supporto delle famiglie sono carenti o troppo costosi e pongono i genitori di fronte a una scelta. Pagare un asilo o una babysitter oppure sacrificare il lavoro di uno dei due? Ovvio che a restare a casa sono quasi sempre le donne, perché sono quelle con la busta paga più leggera, dal momento che in Italia la differenza salariale di genere viene calcolata dall’Inps nella misura del 12% annuo, quando si comparano donne e uomini con le stesse caratteristiche individuali e occupazionali e che lavorano all’interno della stessa impresa.
Carenza di servizi
I numeri d’altra parte confermano la penalizzazione che grava sulle donne anche semplicemente quando convivono con un partner: nel 2022 il tasso di occupazione delle 25-49enni era l’80,7% per le donne che vivono da sole, il 74,9% per quelle che vivono in coppia senza figli, e il 58,3% per le madri.Complice il deserto della rete di servizi a supporto: 14 regioni italiane su 20, come testimonia l’Istat, non hanno ancora raggiunto l’obiettivo Ue fissato nel 2010 di avere posti negli asili nido per almeno il 33% dei bambini tra 0 e 3 anni. La percentuale media in Italia è ancora ferma al 28%, contro una media europea ormai volata al 37,9%. In alcune aree del Sud, come Campania, Calabria e Sicilia, la quota scende sotto il 15%. Non rimane che sperare che i cantieri Pnrr mettano il turbo.
Fonte: Il Sole 24 Ore