Nella lite per il parcheggio non è reato l’«investimento» involontario della rivale

Nella lite per il parcheggio non è reato l’«investimento» involontario della rivale

Non c’è reato di lesioni se, nella foga di occupare un posto libero, si sale d’impeto sul marciapiede e, involontariamente, anche sul piede della “rivale” con la quale c’è stata un’accesa lite per lo spazio rivendicato da entrambe. Naturalmente nello “scontro” la signora che aveva difeso il suo diritto con il corpo non si era ferita in alcun modo. Lo stesso certificato del pronto soccorso parlava solo una contusione riferita dalla parte lesa ma non rilevata dai medici. La Cassazione, con la sentenza 44407, accoglie il ricorso dell’imputata e annulla con rinvio la condanna per lesioni inflitta, dopo il Tribunale, anche dalla Corte d’Appello che aveva escluso solo l’aggravante dell’odio razziale per gli insulti che erano volati nei confronti della donna con la quale l’imputata si era fronteggiata per il parcheggio.

Ad avviso dei giudici di merito la signora meritava la condanna perché, pur avendo visto la sua “nemica” nel posto ambìto «entrò di prepotenza, a costo anche, come in effettivamente avvenne, di urtarla con le ruote». Ad avviso della Corte d’Appello la rivale era ben in vista e l’imputata non aveva «dato elementi per ritenere che contasse di potere manovrare con tale abilità, salendo sul marciapiede, da poterla evitare».

L’imperizia nella guida «denunciata» dal marito

Per la Cassazione però manca il dolo eventuale. Un elemento che c’è quando chi agisce si rappresenti «la significativa possibilità di verificazione dell’evento e si sia determinato ad agire comunque anche a costo di cagionarlo». E non era questo il caso, nel quale si potrebbe forse parlare di colpa cosciente che scatta quando chi agisce può aver previsto in concreto che la sua condotta può cagionare l’evento, ma agito convinto di poterlo evitare.

La Corte d’appello è dunque chiamata ad un nuovo giudizio tenendo in considerazione una serie di fattori e di circostanze specifiche. L’imputata aveva agito in preda all’agitazione e non era una guidatrice provetta. Elemento questo riferito dal marito che neppure in Tribunale aveva resistito all’impulso di criticare il parcheggio della moglie definito “non impeccabile”, affermazione che, comunque aveva giocato a favore della donna, che poteva aver confidato in capacità che non aveva di schivare l’avversaria. Per finire era stata la prima a chiamare le forze dell’ordine.

Fonte: Il Sole 24 Ore