No al sangue dei vaccinati contro il Covid? L’ospedale decide per l’intervento al posto dei genitori
Le eccezioni della Chiesa Cattolica
Persino la Chiesa ha fatto però delle eccezioni. La nota della Congregazione per la dottrina della fede sulla moralità dell’uso di alcuni vaccini anti-Covid-19, invocata dai ricorrenti, non contiene solo il passaggio che loro hanno menzionato, ma chiarisce che «quando non sono disponibili vaccini contro il Covid-19 eticamente ineccepibili è moralmente accettabile utilizzare i vaccini anti-Covid-19 che hanno usato linee cellulari provenienti da feti abortiti nel loro processo di ricerca e produzione» e ancora che «la ragione fondamentale per considerare moralmente lecito l’uso di questi vaccini è che il tipo di cooperazione al male (cooperazione materiale passiva) dell’aborto procurato da cui provengono le medesime linee cellulari, da parte di chi utilizza i vaccini che ne derivano, è remota. Il dovere morale di evitare tale cooperazione materiale passiva non è vincolante se vi è un grave pericolo, come la diffusione, altrimenti incontenibile, di un agente patogeno grave». Tanto basta «a osservare – si legge nell’ordinanza – che se la Chiesa considera “remota” la cooperazione consistente nel fatto di vaccinarsi – ed invero è fatto noto che anche Papa Francesco ha invitato i fedeli a vaccinarsi contro il Covid- ancora più remota deve considerarsi la cooperazione consistente nel sottoporsi a trasfusione di sangue senza sapere se il donatore sia o meno vaccinato contro il Covid e con quale vaccino».
L’identità della persona
In ogni caso – spiega la Suprema corte – i ricorrenti fanno un errore di diritto quando parlano della identità religiosa del figlio da preservare. E l’errore sta nel sovrapporre «totalmente la propria identità religiosa a quella del minore».
L’identità della persona è, infatti, «l’insieme delle caratteristiche che rappresentano l’uomo nel suo progressivo divenire. Essa presenta profili genetici, giuridici, sociali e tutti concorrono nella costruzione progressiva e costante della personalità». I genitori, trasmettendo il patrimonio genetico se sono anche genitori biologici, e in ogni caso esercitando la loro funzione di cura ed educazione, sono i primi a costruire l’identità del minore. Ma devono farlo, «nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Anche un bambino in tenera età – scrive la Cassazione – ha inclinazioni naturali e aspirazioni, ma soprattutto ha capacità, intese come potenzialità del divenire; e si tratta di un divenire che nel progressivo entrare in contatto con persone diverse dai genitori e comunità diverse dalla famiglia può anche evolversi verso scelte diverse, che i genitori sono tenuti a rispettare».
Se è nelle prerogative dei genitori dare al figlio un’educazione religiosa, gli stessi genitori devono mettere in conto scelte future diverse. Non è dunque «accettabile che i genitori adottino decisioni per il minore in cui la loro fede religiosa sia assolutamente condizionante e prevalga in ogni caso sempre e comunque sugli altri interessi del minore».
Fa dunque bene il giudice a mettere sul piatto della bilancia le scelte religiose di padre e madre con altri diritti e interessi del figlio minorenne. Tra questi c’è certamente il diritto alla salute psico-fisica e a una crescita armoniosa. Il tutto nell’interesse superiore dei minori.
Fonte: Il Sole 24 Ore