Non era assenteista, il vigile “in mutande” dovrà essere risarcito dal Comune

Da simbolo dell’assenteismo a vittima della cattiva amministrazione. La Cassazione mette la parola fine all’odissea giudiziaria del dipendente del comune di Sanremo Alberto Muraglia, divenuto noto in Italia come il Vigile in “mutande”. Il lavoratore era stato licenziato ed era finito in tribunale con l’accusa di essere un “furbetto del cartellino”, assente ingiustificato in alcuni casi, e sorpreso dalle telecamere mentre timbrava il badge in “abiti succinti” come si legge nel ricorso che il Comune ha perso definitivamente. L’ente locale dovrà ora risarcire con circa 227.443,36 euro l’ex agente della polizia municipale

La Suprema corte, con la sentenza 20109, ha confermato la revoca del licenziamento decisa dalla Corte di Appello, la reintegra sul posto di lavoro e, in aggiunta, il risarcimento dei danni. Anche se l’agente della municipale non rientrerà in servizio perché ha già dato le sue dimissioni. Muraglia era finito al centro dell’attenzione dei media dopo essere stato immortalato in una foto mentre timbrava il cartellino per andare al lavoro senza pantaloni perchè, secondo l’accusa, sarebbe poi tornato a casa a dormire invece di prendere servizio. Durante il processo il suo legale, l’avvocato Alessandro Moroni, dimostrò invece che Muraglia in realtà iniziava a lavorare addirittura in anticipo. Nominato custode del mercato ortofrutticolo di Sanremo, Moroni si svegliava tutte le mattine alle 5.30 per aprire i cancelli del mercato e controllare che gli spazi fossero vuoti per i banchi degli ambulanti, poi andava a prendere servizio alle 6 in qualità di vigile urbano. Il compito di custode lo svolgeva in cambio dell’alloggio a titolo gratuito nello stabile del mercato, senza alcuna remunerazione in denaro.

La sentenza penale valorizzata in Cassazione

La Cassazione nel respingere il ricorso del Comune, ha valorizzato la sentenza adottata in sede penale, che aveva escluso l’assenteismo e la truffa a donno dello Stato. Un processo, per gli stessi fatti alla base del procedimento disciplinare, che si è concluso con la formula “perché il fatto non sussiste”. Formula che incide “sulla stessa materialità dei fatti (e non sulla sola non rilevanza penale degli stessi)”

Per la Suprema corte “l’esclusione degli elementi costituitivi della fattispecie di reato non lasciava residuare altri elementi fattuali che consentissero di affermare un’autonoma rilevanza disciplinare delle condotte concludendo, pertanto, che “il sopravvenuto giudicato penale copre integralmente tanto i fatti storici che l’elemento soggettivo cui il Comune di Sanremo ha attribuito rilevanza disciplinare”. Di conseguenza c’erano i presupposti per ritenere sussistente il carattere vincolante dell’accertamento in sede penale anche in sede civile.

Fonte: Il Sole 24 Ore