Non si arresta la contrazione di gallerie e antiquari, resistono le aste

Una lenta e inesorabile erosione dei mercanti d’arte attraversa tutto il paese. In dieci anni l’Italia ha perso il 14,05% degli operatori, tra gallerie (-18,54%) – le più penalizzate – e antiquari (-10,35%). Gli unici intermediari che hanno resistito alle diverse crisi, compresa quella del Covid che paradossalmente li ha rilanciati con le aste online, sono le case d’asta che hanno tenuto (+0,56%) rispetto al 2013. Lo scenario emerge dai dati forniti in esclusiva ad Arteconomy dalla Camera di Commercio di Milano Monza Brianza Lodi che censisce nel 2023 un totale di 3.363 imprese attive nel settore dell’arte e dei collezionabili (secondo i tre codici Ateco 477831, 47792 e 47794). La perdita di terreno si registra anche osservando il dato più ravvicinato nel 2022. Questa volta sono le case d’asta a registrare il peggior risultato: -2,18%. Nonostante in dieci anni si sia contratto il numero delle imprese attive, gli addetti nel 2023 sono restati stabili a quota 5.904 (+0,18 sul 2013 e – 1,58% sul 2022). Nel dettaglio emerge ancora una volta la forza delle case d’asta che hanno visto crescere in dieci anni gli addetti quasi del 73%, grazie al proliferare di dipartimenti e di nuovi segmenti del mercato dei collezionabili che hanno attratto nuovi esperti. I mercanti – galleristi di arte moderna e contemporanea e antiquari –, hanno invece rispettivamente ridotto la forza lavoro del 12% e di poco più del 9% perché lavorare sul mercato italiano è sempre più complesso per normative e fiscalità.

Gli hub

Non è cambiata sostanzialmente in questi anni la mappa dei centri commerciali dell’arte: la Lombardia con Milano è la principale regione seguita da Toscana, Lazio, Campania e Piemonte. Tranne che per la Lombardia, che nel complesso ha tenuto, tutte le altre regioni in dieci anni hanno visto ridursi le imprese attive di oltre il 10%, in particolare le città nelle quali si è contratto a doppia cifra il numero di esercenti sono Roma, Firenze e Genova. Solo Venezia guadagna il segno positivo, merito della Biennale? Da anni il mercato dell’arte sceglie come centri privilegiati le città d’arte che ospitano importanti istituzioni museali e collezioni private dove tessere le relazioni più virtuose. Il Sud, invece, ad eccezione della Sicilia che registra una contrazione delle imprese solo del 7,54%, perde a doppia cifra la sua offerta commerciale, nonostante molte nuove gallerie scelgano luoghi meno affollati e cari per mettere radici.

La forma delle imprese

Osservando la natura giuridica delle imprese sembra che crescano di dimensione (dalla CCIAA Milano non abbiamo i dati di fatturato), visto che in dieci anni le società di capitali sono passate da 732 a 948 (+29,5%), in concomitanza alla riduzione delle società di persone passate da 608 a 444 (-27%) e della affollata famiglia delle imprese individuali scese a 1.940 (-23,7%). Negli ultimi anni la Camera di Commercio monitora anche le imprese femminili, giovanili e straniere. Cosa emerge? In due anni poco è cambiato: nel 2023 il 30% circa delle imprese è femminile, circa il 5% è promossa da giovani imprenditori e 223 sono straniere (circa il 6% del mercato attivo in crescita del 3,24%), con una maggiore dinamicità di gallerie (104) e antiquari (115). Il segmento delle aste è saldamente in mano a imprese italiane, fatta eccezione delle tre major con le loro filiali, ma solo Christie’s e Sotheby’s battono anche incanti in Italia.

Le attese

Il mercato italiano ora è a un bivio: restare in Europa recependo una riduzione dell’Iva ridotta sugli scambi di arte, come hanno fatto prima la Francia e da poco la Germania. Oppure autoescludersi automaticamente dagli scambi se il legislatore non interverrà in tempo, entro fine anno, a modificare la tassazione. La legge delega n. 111 del 2023 per la riforma tributaria ha delegato il Governo, in materia di imposta sul valore aggiunto, a ridurre l’aliquota dell’Iva all’importazione di opere d’arte, recependo la direttiva (UE) 2022/542 del Consiglio, del 5 aprile 2022, ed estendendo l’aliquota ridotta anche alle cessioni di oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione. Continuano a sostenere tale riforma gli operatori del sistema dell’arte, espressi nel gruppo Apollo, favorevoli al passaggio dall’Iva ordinaria del 22% sugli scambi a quelle ridotta, che potrebbe essere del 5 per cento.

Ora anche Assonime con il Position papers «Proposte per una fiscalità dell’arte più competitiva» sostiene: «la finalità della norma di delega è quella di agevolare il regime Iva delle importazioni e delle cessioni di oggetti d’arte, antiquariato o collezione al fine di incentivare il relativo mercato e rendere il nostro ordinamento maggiormente competitivo». Sull’imposizione dei redditi, invita a «dare certezza al mercato dell’arte – attualmente privo di regole definite ed esposto all’aleatorietà delle differenti interpretazioni dell’Amministrazione finanziaria e della giurisprudenza – e a introdurre una regolamentazione specifica per escludere da tassazione sia le plusvalenze realizzate dal collezionista “puro” sia le plusvalenze derivanti da opere ricevute per successione o donazione o da operazioni di permuta o di reinvestimento dei proventi in altra opera; fattispecie, queste ultime, nelle quali dovrebbe mancare un oggettivo intento speculativo».

Fonte: Il Sole 24 Ore