Non solo Rai. Dal Mes al terzo mandato per i governatori, alle detenute madri, quando il centrodestra si spacca sul voto
Nelle ultime, concitate ore, il Governo Meloni è stato battuto per due volte in commissione Bilancio del Senato, che alla fine ha approvato il Dl Fiscale. Ora il provvedimento si appresta a ottenere il via libera dell’aula di Palazzo Madama. La giornata nera del governo ha raccontato l’epilogo di un braccio di ferro interno chiuso senza compromessi. Il dato finale è la stato spaccatura del centrodestra: FdI e Lega da una parte hanno votato a favore del taglio del canone Rai, dall’altra Forza Italia con le opposizioni ha stoppato l’emendamento del partito di Matteo Salvini. Poco dopo, sempre in commissione Bilancio, la ripicca politica dei senatori leghisti, che si sono astenuti e così facendo hanno contribuito alla bocciatura di una proposta dell’azzurro Claudio Lotito sulla sanità in Calabria.
I precedenti
Così l’esecutivo ha dovuto gestire una nuova spaccatura in sede di votazione. In passato è successo sulla ratifica delle modifiche del Mes, poco prima del Natale 2023 (Fi scelse l’astensione, a differenza di Lega e FdI che votarono contro). L’aula della Camera respinse la ratifica del trattato. «Vogliamo esprimere un’astensione sulla proposta di parere contrario al Mes perché il Mes sarà un’opportunità e non un obbligo e perchè bisogna continuare con una collaborazione e un confronto continuo e costruttivo con le istituzioni europee», spiegò il capogruppo azzurro in commissione Bilancio di Montecitorio Roberto Pella.
O come sul terzo mandato dei governatori, altra bandiera leghista, che due volte quest’anno, fra febbraio e marzo, ha visto la maggioranza dividersi. A fine febbraio, in particolare, venne respinto l’emendamento della Lega al dl elezioni sul terzo mandato per i governatori delle regioni. In commissione Affari costituzionali del Senato, dove il provvedimento era all’esame, espressero contro la proposta di modifica leghista, Fratelli d’Italia e Forza Italia sostenuti da Pd, M5s, Avs. A sostegno della Lega votò Italia viva. Azione non partecipò al voto. In tutto furono 4 i voti favorevoli, 16 i contrari.
Così come è capitato nell’esame del disegno di legge Sicurezza, quando sul tema delle detenute madri è stato ancora il partito di Tajani a dissociarsi. A luglio non passò, con 21 voti contrari e 18 favorevoli, l’emendamento abrogativo delle opposizioni sulle madri detenute. In commissione Affari Costituzionali, durante il voto sul dl sicurezza, FdI e Lega respinsero la proposta del centrosinistra che puntava a eliminare l’obbligo di differimento della pena per le madri incinte. Una decisione non condivisa da Forza Italia che decise di non partecipare al voto. A settembre Forza Italia ha presentato una richiesta di modifica al ddl sicurezza per “correggere” l’emendamento approvato con il solo voto di Fdi e Lega. Il testo puntava a ripristinare il differimento obbligatorio della pena per le madri di bambini neonati (di età compresa tra gli zero e i 12 mesi), che quindi si vedono rinviate il carcere, in modo che nessun bambino debba passare i primi mesi dietro le sbarre.
I temi divisivi sui dossier internazionali
La lista dei temi che dividono la Lega e Forza Italia si allunga ogni giorno di più. L’uno punta a sottrarre all’altro lo scettro di seconda forza politica della coalizione, alle spalle di FdI. E Matteo Salvini e Antonio Tajani appaiono come due vicepremier sempre più “distinti e distanti”. Travalicando anche i confini nazionali. La Commissione di Ursula von der Leyen, che ha come vicepresidente il meloniano Raffaele Fitto, ottiene infatti il via libera dall’Europarlamento con il voto contrario della Lega e quello a favore di FI. E i due “fratelli coltelli” sono su fronti opposti anche per quanto riguarda la guerra in Ucraina e quella in Medio Oriente. Salvini ha attaccato a testa bassa i giudici della Corte Penale Internazionale che hanno spiccato il mandato d’arresto contro Netanyahu, chiarendo che comunque il premier israeliano «sarebbe benvenuto in Italia». Mentre Tajani, titolare della Farnesina, ha lanciato un invito a «misurare le parole» perché «la politica estera dell’Italia è cosa seria e la linea viene espressa dal presidente del Consiglio e dal ministro degli Esteri». Cioè lui.
Fonte: Il Sole 24 Ore