Nuove sfide per l’Unione: il modello Pnrr per la politica di coesione
In campagna elettorale il tema non è stato neppure sfiorato. Ma la prossima legislatura europea, per la quale da domani andranno a votare più di 370 milioni di cittadini, potrebbe segnare una svolta per la politica di coesione, strumento cardine dell’Unione per redistribuire ricchezza tra gli Stati membri e tra i territori degli Stati membri.
Le discussioni sul prossimo bilancio pluriennale post 2027 entreranno nel vivo tra un anno, ma il confronto tra i tecnici della Commissione europea è già iniziato. E per quanto riguarda la politica europea degli investimenti pubblici, il lavoro ruota intorno ad una domanda: cosa fare dell’esperienza del Meccanismo di ripresa e resilienza e dei Piani nazionali collegati, i Pnrr, e come combinarla con gli investimenti dei fondi di coesione? La nuova commissione e il nuovo parlamento dovranno decidere se e come proseguire l’esperienza di Next Generation Eu avviata durante il Covid e quali equilibri trovare con la politica di coesione che assorbe un terzo del bilancio comune europeo e alla quale i progetti e le politiche dei Pnrr si sono ampiamente sovrapposti, con un “effetto spiazzamento” di cui bisognerà valutare le conseguenze.
Spesa ferma a zero
Ciò che si può dire, per ora e per l’Italia, è che la spesa dei fondi strutturali 2021-2027 è ferma quasi a zero. È il risultato di un mix di fattori, vecchi e nuovi: la sovrapposizione tra strumenti che si accompagna alla scarsità di progetti, i limiti delle pubbliche amministrazioni e la riforma della coesione nazionale voluta dal ministro Raffaele Fitto, per citare quelli principali. Chi difende la coesione e teme che il “metodo Pnrr” ne stravolga la natura territoriale, guarda agli effetti redistributivi: è una politica che non lascia indietro nessuno e rende l’Europa più coesa. «Nel 2030 il reddito complessivo dell’Europa sarà superiore dell’1% grazie alla Politica di Coesione, è una politica in cui vincono tutti» ha sottolineato qualche giorno fa la commissaria europea per la Coesione, Elisa Ferreira, alla plenaria del Comitato economico e sociale europeo. Chi invece vuole spingere il cosiddetto “metodo Pnrr”, loda l’orientamento ai risultati (le risorse vengono erogate allo Stato centrale a fronte degli obiettivi raggiunti e delle riforme realizzate) contro il metodo coesione che privilegia la spesa a rendicontazione (i rimborsi arrivano alle regioni e ai ministeri titolari di programmi solo a fronte delle fatture che certificano la spesa per i progetti conclusi).
Nuove priorità e beni pubblici Ue
Una ipotesi è che il “Meccanismo di ripresa e resilienza 2.0” si concentri sulle nuove priorità dell’Unione e sui cosiddetti beni pubblici europei, a cominciare dalla difesa comune e dalla transizione energetica, magari con qualche concessione ai territori nella fase di progettazione, dalla quale sono rimasti esclusi nella prima edizione. Ma molti sono tentati anche dall’idea di mettere le mani sui fondi strutturali, 368 miliardi pari a un terzo del bilancio 21-27. Magari con il pretesto che la spesa – soprattutto in alcuni paesi – è lenta e poco efficace. Tutto ciò deve fare i conti anche con un altro elemento fondamentale per l’Unione europea nei prossimi anni: l’allargamento ai Balcani occidentali e anche più in là. Significa che nel giro di qualche anno l’Unione potrebbe arrivare a contare 35 stati membri. I nuovi partner saranno tutti beneficiari netti del bilancio europeo. Assicurare le risorse dei fondi strutturali anche ai nuovi stati membri implica la necessità di trovare nuovi equilibri, possibilmente senza togliere nulla ai “vecchi”. Il modello Next generation Eu, cioè rivolgersi al mercato con l’emissione di debito comune gli Eurobond potrebbe essere una parte della soluzione.
Fonte: Il Sole 24 Ore