Nuovi Livelli essenziali di assistenza: rischio fumata nera anche a gennaio 2025

La manovra mette 50 milioni l’anno tra 2025 e 2030 per aggiornare i Livelli essenziali di assistenza (Lea), cioè le prestazioni erogate gratuitamente o dietro pagamento di un ticket da parte del Servizio sanitario nazionale, e le relative tariffe. Ma al di là della cifra irrisoria postata dal ddl di bilancio che muove i primi passi in Parlamento, a essere in bilico ancora oggi dopo oltre un lustro è la stessa possibilità dei ‘tariffari Lea’ di entrare in vigore a gennaio 2025. Non è questione di poco conto: i due nomenclatori per la protesica e la specialistica sono a bagnomaria dal 2018 e neanche l’annuncio di aprile 2023 del ministro della Salute Orazio Schillaci di averli finalmente sbloccati, dopo quasi sei anni dal via libera ai ‘nuovi Lea’ targato Beatrice Lorenzin, è stato risolutivo. Da una prima deadline ‘bucata’ a gennaio 2024, i tariffari – che sono necessari per erogare concretamente le prestazioni ai cittadini in tutto il Paese – erano ulteriormente slittati dall’ultima data ‘buona’ fissata al 1° aprile scorso in seguito alle contestazioni dei laboratori e dei privati accreditati sull’inadeguatezza dei prezzi assegnati a singole prestazioni, dalla visita medica a interventi ambulatoriali. Un rinvio avallato da un’Intesa Stato-Regioni.

In bilico il via libera da gennaio a 3mila prestazioni

Lo starter era stato procrastinato di nuovo a gennaio 2025, ma anche questa volta è tutto da capire se quella data sarà davvero da cerchiare in rosso. Pesano sia i ritardi sia le incertezze sulle risorse. Nei giorni scorsi, una riunione del tavolo tariffe avrebbe trovato la quadra sul ‘prezziario’ delle singole voci – oltre 3mila tra confermate e new entry – che vanno dalle protesi acustiche hi-tech alla procreazione medicalmente assistita, dall’adroterapia per i tumori ai sistemi di domotica ai comunicatori oculari per le disabilità gravissime. Ma «siamo sul filo del rasoio – avvisa il presidente di Salutequità Tonino Aceti – per chiudere tutte le procedure nei tempi. La considerazione amara, se ci dovesse essere un ulteriore rinvio, è che sulla pelle dei pazienti si fa di tutto. Il decreto tariffe doveva entrare in vigore per legge nel febbraio 2018 e invece è stato approvato solo oltre cinque anni dopo e il testo licenziato da Schillaci ha conosciuto altri due slittamenti per la sua entrata in vigore».

L’iter fra Mit, Agenas e Gabinetto del ministro

L’iter da seguire in effetti non depone a favore di una partenza il 1° gennaio: il tavolo tariffe dovrà formalizzare il testo al Gabinetto del ministro, che a sua volta lo invierà sia al Mef che ad Agenas e, una volta acquisiti i pareri di entrambi, il documento sarà inviato dal ministro alla Conferenza Stato-Regioni per la ‘diramazione’, cioè l’acquisizione e l’invio alla Conferenza delle Regioni per l’istruttoria in commissioni Salute e Bilancio. Da lì se tutto quadra andrà calendarizzata una seduta Stato-Regioni per l’approvazione definitiva. Una serie di passaggi importanti e necessari prima del varo. E il 1° gennaio è praticamente dietro l’angolo.

Il rebus sul ministero dell’Economia

Poi, c’è la questione cruciale della postura che deciderà di assumere il Mef: nel caso in cui si riuscisse a chiudere l’iter di approvazione entro il 2024, il ministero dell’Economia si accontenterà per sbloccare i fondi preordinati all’entrata in vigore delle nuove tariffe e all’aggiornamento dei Lea – 631 milioni di euro nel 2024 e 781 mln a decorrere dal 2025 – solo del via libera ai tariffari o invece per il riparto alle Regioni pretenderà di vedere anche i provvedimenti attuativi dei governatori? «In quest’ultimo caso ci potrebbe essere il rischio di una relativa riduzione delle risorse da assegnare alle Regioni per il 2024 con una conseguente sofferenza per i bilanci regionali – commenta Tonino Aceti – perché più di un assessore ha segnalato difficoltà e sulla stessa manovra sono già state sollevate diverse critiche in riferimento alla sostenibilità economica della sanità pubblica. Ma è anche vero che se il Mef sbloccherà i fondi accontentandosi della sola entrata in vigore dei tariffari senza verificare la loro effettiva attuazione da parte delle Regioni, per i cittadini sarà ancora una volta una beffa. Fino a oggi le risorse assegnate per l’aggiornamento dei Lea le Regioni le hanno usate per altre finalità sanitarie, a fronte di nessun ampliamento del perimetro dei diritti per i cittadini».

Il Mef era contrario all’ultimo slittamento

Risorse che negli anni si sono accumulate: al 31 dicembre 2023 l’ammontare dei finanziamenti previsti dalla legge per l’aggiornamento delle tariffe di protesica e specialistica legato al Dpcm del 2017 è stato pari a 3.046 miliardi, a cui si aggiungono 400 milioni destinati a un ulteriore aggiornamento, per un totale di 3,446 miliardi. «Miliardi dati alle Regioni a fronte di nessuna prestazione Lea aggiuntiva garantita ai cittadini sul territorio nazionale», sottolinea ancora Aceti. Che ricorda la lettera firmata dal Ragioniere Generale dello Stato e inviata al ministro della Salute quando si decise l’ultimo slittamento al 2025. Una proroga a cui il Mef era nettamente contrario: «In un passaggio cruciale di quella missiva – spiega il presidente di Salutequità – si sottolineava come l’adozione del decreto tariffe sia fondamentale per ridurre le disuguaglianze anche a fronte di una mobilità sanitaria monstre. Per questo il Ragioniere Generale aveva chiesto a Schillaci di rendere indisponibili quelle risorse, pari a 631 milioni per il 2024 e a 781 milioni a decorrere dal 2025, fino al loro effettivo impiego per le finalità indicate dalle norme e limitatamente agli impatti finanziari associati».

Fonte: Il Sole 24 Ore