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Nutrienti preziosi per la salute estratti dagli scarti del pesce azzurro
Vitamina D e Omega 3 dagli scarti del pesce azzurro (sardine e sgombri) per possibili utilizzi in prodotti nutraceutici. È quanto hanno messo a punto i ricercatori dell’Enea nell’ambito di un progetto che coinvolge anche l’Università di Camerino, il Cnr e le università del Piemonte Orientale e di Bologna.
«Il processo estrattivo – spiega Gian Paolo Leone, del Laboratorio di Bioeconomia circolare rigenerativa dell’Enea e responsabile per l’attività condotta per l’Università di Camerino nell’ambito del progetto VitaDwaste – prevede l’uso dell’anidride carbonica supercritica, una tecnologia verde che unisce sicurezza ed efficienza nell’estrazione delle biomolecole e permette di ridurre l’impatto sull’ambiente perché non utilizza solventi organici».
Il progetto ‘VitaDwaste’ punta all’utilizzo della frazione di sardine e sgombri che non possono essere commercializzati per un uso alimentare. «Le catture accidentali di piccole specie pelagiche si aggirano intorno al 5% del pescato totale – argomenta Leone -. Se consideriamo che la produzione media di sardine negli scorsi anni è stata di oltre 80 mila tonnellate nel Mediterraneo e di quasi 60 mila tonnellate nel solo Adriatico, appare evidente che la loro valorizzazione per la produzione di prodotti biobased potrebbe offrire un importante supporto alla crescita della filiera, aggiungendo valore economico a ciò che altrimenti sarebbe considerato scarto».
Una prima sperimentazione è stata effettuata nel centro riceche Agobioplis del centro di Triasia in Basilicata e, come sottolinea il ricercatore Vincenzo Larocca «ha permesso di individuare le condizioni ottimali per il processo valutando sia l’influenza di parametri come pressione e temperatura sull’andamento delle rese sia la concentrazione delle molecole target negli estratti». Superata la prima fase, la ricerca si è spostata su una scala maggiore, attraverso il ricorso a un impianto pilota presente nella hall tecnologica Processi Agroindustriali del Centro Ricerche Casaccia, a Roma.
«Con questo progetto – dice Gianni Sagratini, coordinatore del progetto e direttore della Scuola di Scienze del Farmaco e dei Prodotti della Salute all’Università di Camerino – ci inseriamo in un contesto di economia circolare, sostenibilità e salute pubblica, proponendoci di recuperare la vitamina D3 dagli scarti dei prodotti della pesca, affinché questi possano diventare un valore aggiunto non soltanto da un punto di vista economico ma anche ambientale e alimentare. In particolare, nei nostri laboratori abbiamo testato alcuni sistemi di estrazione, ad esempio quella ad ultrasuoni, per valutarne l’efficacia, ed abbiamo sviluppato il metodo Hplc che ci ha permesso di quantificare la quantità di vitamina D3 presente».
Fonte: Il Sole 24 Ore