Nzatu, start up per coltivare caffè sostenibile tra Uganda, Zambia e Parma

I canali per gli accordi commerciali con le principali insegne della grande distribuzione organizzata, a partire da Conad, sono già stati aperti. E il primo step prevede la distribuzione di una tonnellata di caffè al mese. È il debutto in Italia di Njuki, proposto dalla start up Nzatu. Un progetto, prima ancora che una impresa, che coinvolge 60mila tra coltivatori e coltivatrici di 15 Paesi africani, dall’Uganda allo Zambia, per sostenere lo sviluppo delle comunità locali e la creazione di un sistema economico sostenibile e di lunga durata, attraverso l’agricoltura rigenerativa. Ma che ha anche ambizioni di crescita imprenditoriale, con la previsione di un fatturato che già nel breve periodo, entro due anni, dovrà oscillare tra i 5 e i 10 milioni di euro e con un piano di espansione globale, tra Europa, Stati Uniti e Asia.

«Siamo il ponte di collegamento tra i farmers e i clienti a livello internazionale» dice Michele Sofisti, cofondatore di Nzatu insieme ad Andrea Chiesi, industriale parmense del settore farmaceutico. «Il nostro obiettivo è quello di generare un impatto positivo sulla popolazione e sull’ambiente», dice Chiesi. Intorno a Njuki (che nelle varie lingue locali significa miele) c’è già grande fermento.

«Stiamo riscontrando grande interesse per questo prodotto e per la filiera che vi ruota intorno, che non fa parte del circuito delle grandi multinazionali» conferma Luca Montagna, fondatore e amministratore di Artcafè, l’azienda di torrefazione artigianale di Parma che distribuisce il caffè Njuki in Italia e in Europa, mentre negli Usa sarà affidato alla piattaforma online Urban Afrique. Con due filiali in Sudafrica e in Zambia, Nzatu – che ha il proprio quartiere generale in Svizzera – aprirà una propria sede, entro la fine del mese, anche a Hong Kong, per entrare nel mercato asiatico puntando sulla formula di una produzione che preserva la biodiversità e che alterna il caffè all’apicoltura (nei periodi di ripresa vegetativa della pianta) per garantire introiti ai coltivatori africani in ogni periodo. L’embrione dell’azienda è una idea di due sorelle native dello Zambia, Gwen e Denise Jones. L’incontro con Sofisti e Chiesi, impegnati da tempo nella tutela della biodiversità, ha portato alla nascita di Nzatu, che in lingua locale significa “nostro”, per indicare che ogni aspetto del progetto è condiviso con i vari partner e con il territorio.

Al gruppo si è unito un giovane climate economist indiano, Prithvi Naik. E oggi l’azienda oltre al caffè e al miele produce anche cacao e cereali antichi. A breve garantirà inoltre il tracciamento e la certificazione delle coltivazioni anche per le nuove norme contro la deforestazione della Comunità europea.

«Posizionato su una fascia di mercato medio-alta, Njuki avrà un prezzo nella media dei prodotti di elevata qualità – spiega Montagna –. Stiamo parlando di un caffè che non solo rispetta standard qualitativi molto alti: incarna anche un modello di business sostenibile e responsabile». Il sostegno alla popolazione locale ha l’obiettivo di stabilizzare la vita delle famiglie, per consentire ai figli un percorso di istruzione ma anche per evitare alle adolescenti matrimoni precoci.

Fonte: Il Sole 24 Ore