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Olio d’oliva, l’Italia crolla al quinto posto per produzione
Spesso per risalire la china occorre toccare il fondo. E stavolta l’olivicoltura italiana il fondo l’ha toccato davvero. Nella campagna 2024-25 la produzione di olio d’oliva made in Italy non andrà oltre le 244mila tonnellate. Così, dopo essere prima stata leader mondiale incontrastato e poi, dalla fine degli anni ’90, stabilmente secondo player globale alle spalle della Spagna, è ora crollata al quinto posto tra i principali produttori di olio d’oliva. Preceduta oltre che dalla Spagna (quasi 1,3 milioni di tonnellate), anche dalla Turchia (450mila), dalla Tunisia (340mila) e dalla Grecia (250mila).
Inoltre, mentre tutti gli altri paesi stanno rafforzando la propria offerta di un prodotto sempre più diffuso a livello globale (+51% la Spagna, +114% la Turchia, +70% la Tunisia e +61% la Grecia) l’Italia è l’unico paese in forte calo (-26% complici la siccità e l’annata di scarica). Una vera e propria debacle produttiva che porte l’Italia in posizione di retroguardia su una delle produzioni mediterranee per eccellenza: l’olio extravergine d’oliva.
È quanto è emerso dalle cifre fornite dalla ricercatrice Ismea, Tiziana Sarnari nel corso dell’incontro organizzato a Roma da Confagricoltura “Olio d’oliva: dalla tradizione al futuro, prospettive per l’olivicoltura italiana”. Ma le difficoltà dell’olio d’oliva italiano non sono solo produttive.
«Abbiamo poco prodotto (e a questo occorre porre rimedio) ma lo valorizziamo ancora meno – ha aggiunto la responsabile del gruppo oliva di Assitol (l’associazione delle industrie olearie), Anna Cane -. Al ristorante, ad esempio, mentre ci sono carte dei vini articolate, c’è qualcuno disposto a descrivere le bottiglie e a consigliarne l’abbinamento con i piatti non c’è nulla di tutto questo per l’extravergine. Spesso portato a tavola in bottiglie anonime (anche se c’è una legge che lo vieta ndr), nessuno ne consiglia l’abbinamento con i cibi e – soprattutto – nessuno lo fa pagare. L’olio al ristorante è gratis ed è difficile che il consumatore darà valore a qualcosa che gli viene regalato».
Senza dimenticare che un altro terreno di mancata valorizzazione se non di vero e proprio depauperamento è lo scaffale della grande distribuzione «dove – ha aggiunto la Cane – continuiamo a trovare bottiglie di extravergine offerte a prezzi inferiori ai costi di produzione. In queste condizioni diventa complicato qualsiasi sforzo di valorizzazione del prodotto».
Fonte: Il Sole 24 Ore