Oliviero Toscani, una vita “contro”, violenta e pacifista insieme

Oliviero Toscani, una vita “contro”, violenta e pacifista insieme

Il primo ritratto, forse, aveva segnato il senso, umanissimo e anarchico, violento e pacifista di tutta la sua carriera. Oliviero Toscani, 82 anni, che si è spento poche ore fa nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Cecina, a Livorno, dopo una lunga malattia.

Aveva iniziato a essere un “grande” fotografo, un fotografo adulto perché davanti a scelte difficili, a quattordici anni quando accompagnando suo padre, Fedele Toscani, fotoreporter, a Predappio per la tumulazione di Mussolini, aveva colto invece della cerimonia il volto dolente di Rachele Mussolini, non una donna nella storia, ma una figlia invecchiata, e l’immagine era apparsa sul Corriere della Sera. Un ragazzo, un giovane uomo, un uomo fuori dal coro, così è sempre stato Toscani anche nei fondamenti del suo lavoro, perché si era formato non nel retrobottega delle agenzie, non sulla strada nell’etica ed estetica brutale dei paparazzi dell’epoca, ma in una delle migliori scuole in Europa, la Kunstgewerbeschule di Zurigo, e qui i suoi insegnanti erano stati Serge Stauffer, fotografo sperimentale che aveva tradotto i testi di Marcel Duchamp ed Eugène Ionesco, e poi Karl Schmid, pittore e grafico raffinatissimo, che a sua volta aveva frequentato Kokoschka e Kirchner. Dadaismo ed espressionismo nel curriculum scolastico, e del resto Toscani diceva che «la vita ha senso solo se si vive “contro”, il conformismo uccide la creatività e finisce per annientare l’uomo».

Dal fotogiornalismo alla moda

Contro, Oliviero Toscani lo era stato fin dagli esordi, da fotogiornalista, quando inviato a Barbiana aveva raccontato la giornata di un altro uomo di protesta, don Lorenzo Milani. E contro tutti, nel senso del sistema della nascente pubblicità italiana – mi considero un terrorista della pubblicità, diceva di sé il grande fotografo – un Toscani giovanissimo aveva preteso il meglio, modelle francesi e trucco e parrucco d’autore, per la sua prima campagna, e allora era il cornetto Algida: tre ragazze su un tandem, disinvolte, leggere, sexy e innocenti ma non troppo, a gustarsi un gelato.

La moda degli anni ’70, quella più all’avanguardia e sontuosa di Vogue Italia, Elle e Harper’s Bazaar, accoglie Oliviero a braccia aperte ed è tutto un mescolare e mescolarsi, lei e lui in completo giacca e pantalone, visti da dietro, capelli lunghi entrambi e chi è lei e chi è lui non si sa. Quel che sappiamo invece è che quando nel 1973 Toscani punta l’obiettivo sullo splendido sedere di Donna Jordan, allora sua fidanzata, lo avvolge nella tela dell’italianissimo Jesus Jeans e lo unisce allo slogan inventato da Emanuele Pirella, “chi mi ama mi segua”, scoppia il caso, lo scandalo, interviene la Buoncostume, Pier Paolo Pasolini commenta sulle pagine del Corriere e le vendite vanno alle stelle.

E questo binomio di moda e lettura profonda della società e delle sue spinte riformatrici, moda e reportage, moda per fare politica, per dire di più e alzare il velo su temi forti, diventa la formula vincente della lunga collaborazione tra Toscani e l’azienda Benetton, iniziata nel 1982 e coronata nel 1991 dal lancio della rivista Colors e tre anni dopo dall’inaugurazione di Fabrica, centro internazionale per le arti e la ricerca della comunicazione moderna. Anche nell’unità dei colori del mondo e della sua cronaca, tra dolori terribili e consumi folli, alternando pagine dedicate all’Aids, alla povertà, all’ambiente, alla pena di morte, allo shopping, Toscani aveva fatto straordinariamente bene il suo mestiere, aveva fatto scandalo e aveva fatto parlare, e non solo di sé.

Fonte: Il Sole 24 Ore