Oltre l’influencer: perché Tod’s ha puntato su Chiara Ferragni e la sua creatività imprenditoriale
L’annuncio che ha avuto la maggior eco è arrivato venerdì 9 aprile, quando il gruppo Tod’s ha comunicato l’entrata di Chiara Ferragni nel consiglio di amministrazione della società, che è quotata alla Borsa di Milano dal 2000 e che quindi ha nel cda la massima espressione di indirizzo delle strategie aziendali, oltre che naturalmente di approvazione dei bilanci. L’eco è stata mediatica (sul web nel giorno dell’annuncio, su ogni altro mezzo d’informazione in quelli successivi) e borsistica, per così dire: venerdì 9 aprile il titolo Tod’s ha guadagnato il 14%, chiudendo a 32,74 euro. I rialzi sono proseguiti nelle due successive giornate di negoziazioni, lunedì 12 aprile e oggi.
Ma i numeri fotografano solo una parte del quadro. O meglio: illustrano ma non spiegano fino in fondo il successo dell’annuncio della cooptazione di Chiara Ferragni nel cda di uno dei principali gruppi del lusso italiani, che ha in portafoglio, oltre a Tod’s, i marchi Hogan, Fay e Roger Vivier. Più che una cooptazione, si tratta di un tassello della strategia del gruppo guidato da Diego Della Valle, che sembra già proiettato oltre la pandemia, grazie a molti progetti e iniziative, nei quali ben si inserisce la scelta del nuovo membro del cda.
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Un nuovo mondo richiede nuove definizioni
Se per Tod’s non è difficile – ed è sufficientemente calzante – la definizione “gruppo del lusso”, molto più difficile è, oggi, raccontare in poche parole Chiara Ferragni. You’ve come a long way, girl, direbbe forse un americano: di strada questa giovane donna (compirà 34 anni il 7 maggio) ne ha fatta davvero tanta. Iniziando da un blog, The blonde salad, nel 2009: sono passati solo undici anni ma i blog si sono di fatto estinti. O evoluti, si potrebbe dire. La selezione della specie, nel mondo rivoluzionato da internet, è spietata e velocissima.
Chiara Ferragni è passata, nei tempi accelerati che il digitale esige – e che sono spesso inaffrontabili o comunque temibili per chi non è nativo digitale né millennial – dal dare consigli di stile come blogger di moda al vendere o promuovere prodotti. A quel punto è diventata una influencer, ovvero una persona che può, letteralmente, influenzare i comportamenti di acquisto, se non il gusto, di chi la “segue” sui social. Non semplice pubblicità, non endorsement, non apparizioni come testimonial: l’influencer dell’era digitale può contare su una misurazione scientifica di follower, contatti, passaggi diretti dalle sue pagine social ai siti dove si possono comprare i prodotti o servizi di cui parla.
L’influencer – ai livelli di Chiara Ferragni, 23,3 milioni di follower solo su Instagram – ha un potere contrattuale molto grande nei confronti dei brand. Ma lei non è già più un’influencer: a guardar bene una definizione ancora non c’è. Imprenditrice digitale non è sbagliato, naturalmente: come ha scritto Monica D’Ascenzo sul Sole 24 Ore di sabato 10 aprile, le società delle quali Chiara Ferragni è socia di maggioranza, The Crew (al 55%) e Sisterhood (al 99%) hanno chiuso il 2019 con utili, rispettivamente, di 450mila e 4,995 milioni di euro.
Fonte: Il Sole 24 Ore