Ondina salta oltre ostacoli e pregiudizi
Prima per sempre. Chi mai le ruberà quel record? Neppure se nascerà una donna bionica. Prima di Sara, Valentina e Federica, icone dello sport azzurro, Ondina Valla ha acceso la rivoluzione rosa. Il suo oro ai Giochi di Berlino 1936 è il primo della storia italiana femminile a cinque cerchi. Superò dieci ostacoli in 80 metri e i pregiudizi che inchiodavano le donne agli angoli della società. Dovevano solo dare figli alla patria, mica andare in giro per l’Europa con le cosce di fuori a sudare e sovvertire l’ordine costituito. Ondina corse fuori dal coro, forse senza rendersene conto fino in fondo, ma aprì le acque di una nuova era e Marco Tarozzi la racconta in Ondina. Il sorriso che ha cambiato il mondo, con un ricco apparato di immagini e giornali d’epoca.
Fra i due mondiali di Vittorio Pozzo, la velocità di Nuvolari e le prime vittorie di Ginettaccio, sorge la stella di una ragazzina nata nel 1916, in via della Ferriera, a Santa Viola, prima periferia di Bologna. Dopo quattro maschi, ecco la femmina tanto attesa. Papà Gaetano, un’officina sotto le due Torri, la chiama Trebisonda, come la città turca sul Mar Nero, per augurarle sogni e meraviglia. Mica facile quel nome, ma la ragazzina non se ne cura. Gioca con i fratelli, trascorre pomeriggi infiniti saltando alla corda e correndo: nascono così i suoi muscoli, anche se mamma Andreana mica gradisce. E a scuola mostra il meglio. Il 23 giugno 1927, alla Coppa Bologna, salta 3,52 metri in lungo e 1,10 metri in alto con la sforbiciata. Impossibile non accorgersi di «quella ragazzina filiforme, con una folta e crespa capigliatura e un nome impossibile», come la descrive Vittorio Costa, presidente regionale della federazione, ex atleta e talent scout. Si allena con la benedizione del padre e, al primo incontro internazionale nel 1928, al Littoriale di Bologna, quello dove giocava il Bologna che tremare il mondo fa, vince il salto in alto e in lungo. Allora, nasce l’amicizia e la rivalità con Claudia Testoni, anche lei velocista, anche lei della società Bologna Sportiva e insieme all’istituto Regina Margherita, riferimento della media borghesia della città. Nel 1929 altro incontro internazionale con cinque Paesi e «Il Resto del Carlino» scrive: «La Valla ha 13 anni e ha saltato misure meravigliose per essere così giovane che, unitamente alla sicurezza dello stile, testimoniano di una classe così sicura da consentirgli la maturità raggiunta».
Nel 1930 la svolta: a 14 anni, vince il titolo italiano degli 80 ostacoli, dell’alto e dell’alto da fermo. Cambia anche il nome. Marisa Zanetti, accompagnatrice della Nazionale, abbrevia Trebisonda in Onda, e Ondina è un tuffo. Anche se l’atleta, nel 1994, spiegherà che il soprannome nasce per errore: un giornalista travisa il nome Trebisonda in Trebitonda. Da lì a Trebitondina lo scollinamento è breve, e definitivo. Sia come sia, sono anni di gran corsa, il talento è multiforme e i risultati molteplici: arriva la prima convocazione in Nazionale e il primo (dei 21) record italiani, un 14” sugli ostacoli (sarà suo per 18 anni, dal 1937 al 1955 il primato nell’alto). Poi le Olimpiadi della Grazia del 1931 e il desiderio di andare ai Giochi di Los Angeles 1932. Ma i Patti Lateranensi sono appena stati siglati e il Vaticano pone il veto: «Sarei stata l’unica donna della squadra di atletica e così mi dissero che avrei creato dei problemi su una nave piena di uomini. E che non era accettabile vedere una donna correre svestita Oltreoceano».
Ancora quattro anni e la Germania di Hitler, in una sorta di sportwashing ante litteram, ospita l’XI Olimpiade. Propaganda pura, esaltazione della razza ariana, grande regia di Leni Riefenstahl. L’Italia partecipa con 13 donne: gli uomini erano alloggiati al villaggio olimpico, le atlete in una specie di inespugnabile accademia militare. Fra loro anche Ondina Valla e Claudia Testoni, amiche-rivali. Agli 80 ostacoli sono iscritte 22 atlete. Il 5 agosto si svolgono le batterie: Ondina in semifinale è un fulmine, 11”6, record del mondo. Poi, il giorno dopo, la finale, davanti a 100mila spettatori e altrettante svastiche. Ondina non riesce ad alzare la gamba destra e il ct Boyd Comstock, chiamato da Oltreoceano per dar velocità all’atletica azzurra, consegna al massaggiatore Giarella delle zollette di zucchero imbevute di cognac: «Falle mandare giù queste, le faranno bene».
Al via sei velociste, anche la beniamina del Führer, Anni Steuer. Ondina ci crede: «Il mio pettorale 343 diceva tutto, la somma dà dieci, zero non conta, resta uno. Ero sicura di vincere». Parte bene Claudia Testoni, Ondina recupera. Uno, due, tre passi, ostacolo. Uno, due, tre passi, ostacolo: «Ai 50 ero in linea con le prime, poi ho chiuso gli occhi e mi sono buttata sul filo. Sentii la carezza del filo di lana e il mio corpo è diventato impalpabile, vuoto, leggero». Millesimi di secondo, millimetri per la gloria di Olimpia. Dopo 45 minuti, il fotofinish incorona Ondina campionessa olimpionica, la prima azzurra della storia: «Dissero che avevo vinto solo perché avevo buttato avanti il petto. Balle, non ero così spudorata». Era semplicemente la più forte, tanto che Hitler la vuole incontrare: «Era piccolo, brutto, ridicolo, come l’ha fatto Charlie Chaplin ne Il grande dittatore».
Fonte: Il Sole 24 Ore