Opinioni via social dei parlamentari insindacabili se legate all’esercizio della funzione

Le dichiarazioni di deputati e senatori, rese fuori dalle sedi delle Camere, quali quelle sui social media, sono insindacabili. Una tutela, riconosciuta dall’articolo 68. comma primo della Carta, per proteggere da condizionamenti lo svolgimento del mandato. Le affermazioni devono però essere qualificabili come opinioni ed essere connesse all’esercizio della funzione parlamentare, oltre che essere espresse in forme improntate al rispetto della dignità dei terzi.

È quanto ha precisato e ribadito la Corte costituzionale con la sentenza n.104, con la quale ha respinto un conflitto di attribuzione promosso dal Tribunale di Milano contro la Camera dei deputati, che aveva affermato l’insindacabilità delle dichiarazioni rese dall’allora deputato Carlo Fidanza (FdI) in un video su Facebook pubblicato nel dicembre 2018. Nel video, Fidanza aveva espresso affermazioni critiche su una mostra – intitolata “Porno per bambini” – che si sarebbe dovuta tenere in un locale a Milano, la “Santeria Social Club” di Viale Toscana. Due giorni dopo aveva presentato un’interrogazione parlamentare sempre in relazione alla manifestazione. La mostra era stata cancellata, ed era arrivato l’intervento del Garante per l’Infanzia della Lombardia. Nel febbraio 2019, le dichiarazioni di Fidanza ed altri erano finite nel mirino dell’amministratore che aveva organizzato l’evento. Ad avviso del querelante, infatti, le affermazioni dell’allora deputato “avrebbero indotto un numero molto elevato di persone a ritenere che il locale, ove si sarebbe dovuta tenere la mostra, fosse in realtà un luogo usato per la propaganda di pedofilia e di pedopornografia”.

Il conflitto di attribuzioni

Dalla querela era nato il conflitto di attribuzioni finito poi sul tavolo dela Consulta. Per la Camera dei Deputati – chiamata in causa dal Tribunale di Milano – le affermazioni motivo del contendere – dovevano essere considerate opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari. E dunque erano insindacabili, grazie alla copertura assicurata dall’articolo 68 della Carta. Diverso il parere del Tribunale di Milano, secondo il quale, quanto detto da Fidanza e da altri, rientrava nel raggio d’azione delle norme sul diritto di critica, previsto dall’articolo 21 della Costituzione. Accertare quindi se questo era stato correttamente esercitato rientrava nel potere dell’autorità giudiziaria. I giudici meneghini hanno così promosso il conflitto considerando di fatto impedita la verifica del superamento o meno dei limiti alla libertà di manifestazione del pensiero.

Nel respingere il ricorso, il giudice delle leggi ha ribadito che l’insindacabilità delle opinioni prevista dall’articolo 68, primo comma della Costituzione, vuole garantire alle Camere che i parlamentari possano svolgere nel modo più libero la rappresentanza della Nazione delineata dall’articolo 67 della Carta. “Escludendo ogni forma di responsabilità giuridica, la Costituzione pone dunque una deroga al principio di parità di trattamento davanti alla giurisdizione, tanto più delicata in quanto l’opinione espressa dal parlamentare può collidere con beni della persona – onore, reputazione, dignità – qualificati come inviolabili. Proprio in ragione del necessario contemperamento degli interessi in gioco la Costituzione non protegge qualsivoglia opinione, ma soltanto quella resa nell’esercizio della funzione parlamentare, indipendentemente dal luogo in cui essa venga espressa”.

Il punto di equilibrio

La Corte ha sottolineato che “il punto d’equilibrio tra gli antagonisti valori va ricercato necessariamente in concreto, dapprima per opera delle Camere e del potere giudiziario, poi ed eventualmente in sede di conflitto di attribuzione. A tal fine, quando si tratti di opinioni rese fuori dalle sedi parlamentari – e sempre che di opinioni si tratti e non, ad esempio, di insulti o minacce – la giurisprudenza costituzionale ha considerato indici rivelatori dell’esistenza della connessione con l’esercizio delle funzioni parlamentari la sostanziale corrispondenza con opinioni espresse nell’esercizio di attività parlamentare tipica e la sostanziale contestualità temporale fra tale ultima attività e l’attività esterna”. Ciò non toglie che anche ad opinioni non connesse ad atti parlamentari possa essere applicato l’articolo 68, “quando sia evidente e qualificato il nesso con l’esercizio della funzione parlamentare.

Fonte: Il Sole 24 Ore