Otto sfide tra epiche vittorie e dolorose sconfitte
Inferocito, nell’incredulità generale, molla la racchetta, si precipita sugli spalti e va a “menare” alla cieca il pubblico che lo fischia e insulta ininterrottamente dall’inizio della partita: anche per questo gesto, oggi impensabile, il fumantino Adriano Panatta è passato alla storia. E, neanche a dirlo, è accaduto in Coppa Davis, una competizione in cui può succedere davvero di tutto (anche che Wilander, numero 1 del mondo nell’88, perda in casa a Göteborg con Carl Uwe Steeb, un semisconosciuto, regalando di fatto la Coppa alla Germania, o che Pete Sampras nel ’91, al vertice del ranking, ceda in tre set all’esaltazione di Henry Leconte, finito al 159° posto in classifica, davanti alla bolgia di Lione).
L’episodio di Panatta pugile sugli spalti risale a Barcellona, anno 1977, come ricostruisce Germana Brizzolari nel libro Azzurro Davis, scritto dal Collettivo Banfield, otto appassionati di tennis e di sport che raccontano le altrettante finali raggiunte dalla squadra azzurra, con due soli trionfi: quello epico, e divisivo fino all’ultimo, del 1976 in Cile (ne parla Lucio Biancatelli) e quello indimenticabile dell’anno scorso, a Malaga, con il trascinatore e attuale numero 1 del mondo Jannik Sinner (ricordato da Matteo Mosciatti).
Nel mezzo ci sono sconfitte dolorose, a rileggerne la genesi quasi inaccettabili, come quella subìta nel 1980 a Praga quando l’arbitro di casa, Antonín Bubenik, ci “rubò”, letteralmente, punti preziosi favorendo i cecoslovacchi (eravamo in piena Guerra fredda): un’ingiustizia talmente spudorata, scrive Lorenzo Fabiano, che gli arbitri non sarebbero mai più appartenuti a una delle nazioni in gara. Altro momento crudele è quello del 1998, contro la Svezia, in cui Andrea Gaudenzi – oggi presidente dell’Atp – nel primo singolare si infortunò alla spalla sul 6 pari al quinto set contro Magnus Norman: lasciò il campo in lacrime e – spiega Alessandro Nizegorodcew – nulla fu più come sarebbe potuto essere, in quella tre giorni tanto attesa, a Milano.
Ma Azzurro Davis è anche l’occasione per ripercorrere gli avvicendamenti in casa Italia, gli attriti e i colpi di scena, e poi l’evoluzione dei Mondiali del tennis. A partire dalla formula di gioco: dall’era delle cinque partite al meglio dei cinque set, per giunta senza tiebreak (match interminabili… immaginiamo che cosa fossero le radiocronache!) sino alla recente, discussa formula varata nel 2019, figlia delle esigenze di velocità, spettacolarità e di un calendario Atp sempre più fitto. Non l’ha amata nessuno e così dal 2025 le cose cambieranno ancora: si torna all’eliminazione diretta tra due contendenti, si ripristinano le cinque partite (rimangono però al meglio dei tre set), si introduce un turno a febbraio dopo gli Australian Open.
Al netto di polemiche e opinioni, rivoluzioni e passi indietro, il fascino della Davis resta intramontabile. Ora, inutile dirlo, c’è il conto alla rovescia per Malaga.
Fonte: Il Sole 24 Ore