Passeggiate di storia e arte tra le vigne della Champagne
Per anni, il piacere metafisico di stappare ha sovrastato l’atto più sensoriale di degustare. Per decenni l’ingenuità di chi ha relegato lo Champagne brut a fine pasto, in accompagnamento al dolce, ha superato chi sapeva abbinare al meglio uno Champagne pas-dosé ai frutti di mare, i Millesimati brut all’agnello con i funghi, il Rosé Brut al culatello di Zibello e il Blanc de blanc brut al risotto al tartufo bianco. Forte di un record storico di 10,6 milioni di bottiglie spedite nel 2022 in Italia e un giro d’affari di 247,9 milioni di euro (325,5 milioni le spedizioni totali per un valore globale di 6,3 milioni di euro), «il solo vino capace di rendere una donna più bella dopo averlo bevuto», parole della Marchesa di Pompadour, guarda avanti. I vigneti sono fragili, soggetti ai cambiamenti climatici e a malattie come la flavescenza dorata. La lotta coinvolge 16.200 vigneron, 130 cooperative e 370 grandi maison: nei 34.300 ettari vitati a nordest di Parigi, nella grande Campagna di Francia, la filiera sta cercando di raggiungere l’obiettivo di emissioni zero entro il 2050 e sviluppare un nuovo centro di ricerca e innovazione che sarà pronto nel 2025.
Uno scenario che mai avrebbe potuto immaginare, nel XVII secolo, l’economo dell’abbazia benedettina di Hautvillers: si racconta che, aiutato da una decisa propensione per il buon vino, Dom Pierre Pérignon si ritrovasse un giorno a sostituire il cavicchio di legno avvolto nella canapa oleata con cubetti di sughero, materiale che aveva osservato nelle fibbie degli abiti dei monaci portoghesi. Esisterebbe oggi lo Champagne senza quei 4 cm di sughero? La vasta piana calcarea movimentata da leggere ondulazioni addossata alle Ardenne, rivestita di antico mare primitivo che ha lasciato uno spesso sedimento di gesso e microrganismi, sarebbe segnata da coltivazioni di colza e barbabietola. Invece è attraversata da una Route Touristique du Champagne che non conosce declino.
A Reims, la cui cattedrale gotica conserva le spettacolari vetrate di Chagall, si trova l’imponente maison Pommery, audace come lo spirito di madame Louise, la Veuve (la vedova, come la collega, l’imprenditrice madame “veuve” Cliquot), che ebbe l’intuito di acquistare un terreno sotto cui si scorrevano 120 crayère, cave di gesso di origine gallo-romane, perfette per la conservazione dei vini, e di lanciare nel 1874 il primo Champagne brut.
I vini si gustano a tutto pasto al Domaine Les Crayères, quintessenza dello stile francese, albergo con ristorante del bistellato Philippe Mille. Più contemporaneo nel décor è il Royal Champagne di Champillon, già stazione di posta tra i vigneti a metà strada tra Reims ed Epernay, cittadina dove quest’estate riapriranno i 18 km di crayère della maison Mercier, percorsi non più in calesse ma con un trenino guidato da un raggio laser.
A Reims, nella maison Ruinart, che fondata nel 1729 è la più antica della zona, è il tre stelle Michelin Arnaud Donckele della Vague d’or di St-Tropez, insieme alla chef residente Valérie Radou, ad aver preso la regia di menu iconici ispirati allo Champagne. Quest’anno, nell’ambito del progetto Carte Blanche che ne reinterpreta il patrimonio, Ruinart si è affidata all’artista francese Eva Jospin, che ha realizzato una serie di sculture di cartone attese anche ad Art Basel in giugno. Fino al 2029, quando Ruinart celebrerà i suoi 300 anni, altre 10 opere d’arte saranno commissionate e installate nello storico terroir. Intanto, questo mese è stata varata anche la Coquelicot, barca di Belmond (che come Ruinart fa parte del gruppo Lvmh) per navigare lungo i canali della Champagne.
Fonte: Il Sole 24 Ore