Patagonia: «Siamo ossessionati dall’ambiente, non dalla crescita. E sosteniamo il ddl Zan»

Patagonia: «Siamo ossessionati dall’ambiente, non dalla crescita. E sosteniamo il ddl Zan»

«L’Italia è una miniera di creatività, talenti e saperi, anche manageriali. Sono poche le cose che dovremmo importare da altre culture, come quella americana. Una però c’è, ma credo che la lacuna si possa colmare». Gianluca Pandolfo è entrato in Patagonia sei anni fa ed è responsabile commerciale per l’area Emea dell’azienda californiana di abbigliamento sportivo. Lavorando in Patagonia e, prima, per The North Face (gruppo Vf), il problema al quale fa riferimento è il pregiudizio che si ha verso sportivi, attori e in genere persone famose in settori dell’intrattenimento che prendono posizione su temi sociali.

«Per l’ambiente, che per Patagonia è un valore assoluto fin dalla sua nascita, nel 1973, siamo, anche in Italia più aperti a testimonianze “esterne” al mondo del business o della politica – aggiunge Pandolfo –. Ma sui temi sociali c’è molta strada da fare. Basti pensare a quello che è successo agli artisti che hanno parlato del ddl Zan». Cosa c’entra Patagonia, azienda americana da 1,3 miliardi di fatturato, con il disegno di legge contro l’omotransfobia arenato nel Parlamento italiano? «C’entra moltissimo: i nostri clienti, quelli storici e quelli più giovani, non solo anagraficamente, sentono un legame molto forte con il marchio, percepiscono di far parte di una comunità – sottolinea Pandolfo –. Credo abbia molto a che fare con la coerenza dimostrata dall’azienda in quasi 50 anni di attività. La salvaguardia del pianeta resta una priorità assoluta, anche perché, come ogni attore economico,sappiamo di avere un impatto negativo sull’ambiente. Così come lo sanno i nostri clienti: non ci sono scelte di produzione o di consumo neutre, possiamo però minimizzare le conseguenze negative e se lo facciamo tutti i vantaggi sono maggiori e, appunto per tutti».

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Tornando al ddl Zan, Patagonia è stata una delle prime aziende a sostenerne la necessità, con un comunicato pubblicato il 17 maggio sui canali social. «Non pretendiamo di cambiare il mondo né facciamo annunci roboanti su temi come la carbon neutrality né pretendiamo di insegnare ad altre persone o aziende cosa fare – spiega ancora il manager italiano –. Dal 1973 Patagonia ha fatto molti cambiamenti di processo, prodotto e governance ma i principi del fondatore Yvon Chouinard e di sua moglie Melinda non possono, per definizione, cambiare. Il rispetto per le persone è strettamente legato a quello per l’ambiente».

Nell’era post Covid è previsto un forte rimbalzo per l’outerwear, ma Patagonia per i prossimi cinque anni non intende per forza cavalcare l’onda. «Non nascondiamo le nostre opinioni ma non diamo lezioni e soprattutto non siamo ossessionati dalla crescita – conclude Pandolfi –. Siamo un’azienda privata che deve restare sana e continuare a investire in ricerca e sul marchio, oltre che in progetti per l’ambiente o per il sociale. Ma vorremmo dimostrare che si può produrre e consumare meglio e che non si è migliori solo perché crescono i ricavi o gli acquisti».

Fonte: Il Sole 24 Ore