Pensioni, ecco da quando e come si adeguano all’aspettativa di vita

Pensioni, ecco da quando e come si adeguano all’aspettativa di vita

Le accuse della Cgil all’Inps di aver già inglobato nei suoi “applicativi” l’adeguamento delle pensioni alla speranza di vita atteso nel 2027, con il risultato di far salire di qualche mese alcune delle “soglie” per accedere al pensionamento, hanno provocato una sorta di terremoto nel cosiddette “cantiere previdenza”. Anche se le accuse sono state immediatamente respinte dall’Istituto presieduto da Gabriele Fava. Il meccanismo che adegua gli assegni pensionistici all’aspettativa di vita è stato introdotto da un decreto legge del 2010 ed è sostanzialmente decollato nel 2013. Negli ultimi anni l’aggiornamento dei requsiti pensionistici è stato di fatto congelato fino a tutto il 2026. Vediamo come è perché.

Nel 2010 nasce per decreto il meccanismo di adeguamento

Nell’attuale millennio la speranza di vita è progressivamente lievitata, soprattutto rispetto agli anni ’70 e ’80. E con l’invecchiamento della popolazione questo andamento è atteso, in forma ancora più marcata, anche negli anni a venire con significative ricadute sul sistema pensionistico pubblico, chiamato a erogare prestazioni per un periodo più lungo. Per questo motivo nel 2010, con il decreto legge n. 78 poi convertito nella legge n. 122/2010, fu previsto dal 1° gennaio 2013, il progressivo innalzamento dei requisiti per l’accesso alla pensione (di vecchiaia ed anticipata) al fine di sterilizzare gli effetti dell’allungamento della vita media della popolazione. Con lo stesso provvedimento fu introdotta la finestra mobile di 12 mesi per i dipendenti e di 18 mesi per gli autonomi, che sostanzialmente rappresentava un aumento dell’età pensionabile per i lavoratori dipendenti uomini da 65 a 66 anni. Queste misure aprirono la strada a un adeguamento della speranza di vita a 65 anni con cadenza triennale da far scattare «con decreto direttoriale del ministero dell’Economia di concerto con il ministero del Lavoro, da emanare almeno dodici mesi prima della data di decorrenza di ogni aggiornamento», sulla base del dato elaborato dall’Istat.

L’arrivo della riforma Fornero

Con la legge Fornero, dal 2012 la finestra mobile di 12 mesi si trasforma in un aumento formale dell’età pensionabile e la soglia per la pensione di vecchiaia viene collocata al compimento dei 66 anni. Soglia che per le donne del settore privato aè inizialmente fissata a 62 anni per poi arrivare all’allineamento con quella degli uomini nel 2018 a 66 anni e sette mesi.

Nel 2013 il primo scatto di 3 mesi

Nel 2013 si materializza il primo scatto di tre mesi e la pensione per gli uomini sale a 66 anni e tre mesi. Lo scatto successivo è nel 2016 ed è di quattro mesi: la soglia anagrafica lievita a 66 anni e sette mesi. Al momento, l’ultimo scatto è quello del 2019 con cinque mesi in più, che portano l’asticella a 67 anni. In questo periodo viene aumentato anche il numero di anni di contributi necessari alla pensione anticipata (a prescindere dall’età), passati per gli uomini dai 42 anni e 1 mese nel 2012 a 42 e 5 mesi nel 2013, a 42 e 6 nel 2014 fino ad arrivare a 42 anni e 10 mesi nel 2016 (12 mesi in meno per le donne). Nel 2019, nell’ambito della strategia pensionistica del governo gialloverde “Conte 1”c, che sfocia nell’introduzione di Quota 100 (uscita anticipata con almeno 62 anni d’età e 38 di versamenti), con una legge è evitato il previsto scatto di 5 mesi per la pensione di vecchiaia ma è introdotta la finestra mobile di tre mesi.

Da Quota 100 a Quota 103 «contributiva»

Nel 2022 il governo Draghi sostituisce Quota 100 con Quota 102 (anticipo con almeno 38 anni di contributi e 64 anni d’età). L’anno successivo, su decisione dell’esecutivo Meloni, arriva Quota 103: pensione anticipata con almeno 62 anni d’età e 41 di versamento. Sempre il governo Meloni nel 2024 inasprisce ulteriormente le regole per gli “anticipi” vincolando Quota 103 al metodo di calcolo contributivo.

Fonte: Il Sole 24 Ore