Pensioni, piano Brambilla: adeguare l’età ma anzianità contributiva ferma a 42 anni e 10 mesi

Pensioni, piano Brambilla: adeguare l’età ma anzianità contributiva ferma a 42 anni e 10 mesi

Adeguare i coefficienti di trasformazione e i requisiti anagrafici all’aspettativa di vita, ma mantenere bloccata l’anzianità contributiva degli “anticipi” svincolati dall’età a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e a 41 anni e 10 mesi per le donne. A indicare di fatto una possibile soluzione alle forze politiche per uscire dall’impasse sull’aggiornamento delle soglie pensionistiche nel 2027 è il rapporto del centro studi e ricerche “Itinerari previdenziali”, presieduto da Alberto Brambilla. La tabelle aggiornate della Ragioneria generale dello Stato, che tengono conto delle ultime proiezioni demografiche dell’Istat, indicano un aumento di tre mesi nel 2027 del requisito anagrafico per il pensionamento di vecchiaia (da 67 a 67 anni e 3 mesi) e per l’anticipo con i soli versamenti, a prescindere dall’età, (da 42 anni e 10 mesi di versamenti a “43+1” per gli uomini e da 41 anni 10 mesi a “42+1” per le donne). Ma il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha fatto sapere che il necessario decreto del Mef, di concerto con il Lavoro, sarà varato soltanto dopo che sarà stata presa una decisione politica: in altre parole, serve prima un compromesso nella maggioranza, visto che la Lega è fermamente contraria ad aumenti dei requisiti e che sono in molti ad essere orientati per una sterilizzazione dell’adeguamento. Compreso lo stesso ministro Giorgetti. Ma il piano-Brambilla fornisce anche altre indicazioni per stabilizzare il sistema pensionistico. A partire da una limitazione delle pensioni anticipate, che verrebbero consentite solo in “formato Ape” e con non meno di 64 anni e 38 di contributi, e dal ricorso a un superbonus per chi decide di lavorare fino a 71 anni.

L’adeguamento delle soglie pensionistiche all’aspettativa di vita

L’adeguamento delle soglie pensionistiche all’aspettativa di vita è stato di fatto “congelato” fino a tutto il 2026. Lo scorso autunno l’Istat ha riscontrato una nuova crescita della speranza di vita, che dovrebbe portare a un adeguamento delle “soglie” di 3 mesi nel 2027. Un adeguamento indicato, a livello tecnico, anche dall’aggiornamento del rapporto della Ragioneria generale dello Stato sulle pensioni, che dal 2027 per le pensioni di vecchia fa riferimento a un requisito anagrafico di 67 anni e 3 mesi (a 67 anni e 5 mesi nel 2029) e per gli “anticipi” svincolati dal requisito anagrafico a una soglia di versamenti contributivi di 43 anni a 1 mese per gli uomini e 42 anni e 1 mese per le donne (che lieviterebbero a “43+3” e “42+3” nel 2029). Per far scattare questo aggiornamento serve un decreto ministeriale “Economia-Lavoro”, che però non appare imminente (dovrebbe arrivare a marzo 2025 o successivamente), come ha detto Giorgetti, perché prima la maggioranza dovrà trovare una quadratura del cerchio al suo interno. A spingere per uno stop è soprattutto la Lega. E anche Giorgetti si è detto favorevole a una “sterilizzazione”. In quest’ultimo caso il governo dovrebbe varare un provvedimento legislativo specifico per congelare il meccanismo introdotto dal decreto legge n. 78/2010 , poi convertito nella legge n. 122/2010. E nell’eventualità in cui l’esecutivo decidesse di percorrere questa strada, sarebbe anche chiamato a valutare l’impatto sui conti pubblici di questa sterilizzazione che, secondo alcune fonti sindacali, peserebbe per circa 2 miliardi l’altro e che, in ogni caso, si riverbererebbe sull’andamento della spesa pensionistica negli anni futuri. Anche per questo motivo potrebbe essere valutata una misura intermedia: far scattare l’adeguamento per le sole pensioni di vecchiaia e non per gli anticipi non legati al requisito anagrafico, o viceversa.

Brambilla: necessario l’adeguamento all’aspettativa di vita, ma non dei contributi per gli «anticipi»

E la rotta intermedia sembra essere anche quella suggerita dal pacchetto di proposte di “Itinerari previdenziali”. Per Brambilla occorre «un’applicazione puntuale dei due stabilizzatori automatici già previsti dal sistema, vale a dire adeguamento dei requisiti all’età anagrafica e dei coefficienti di trasformazione all’aspettativa di vita». Ma nel dossier di “Itinerari previdenziali” si afferma anche che è necessario «bloccare l’anzianità contributiva agli attuali 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 e 10 per le donne, con riduzioni per donne madri e precoci».

Uscita anticipata con 64 anni e 38 di versamenti

La ricetta di “Itinerari previdenziali” prevede l’utilizzazione di altri “ingredienti” per garantire anche in futuro l’equilibrio del sistema previdenziale, alle prese con la transizione demografica in atto. Il centro studi presieduto da Brambilla suggerisce di arginare il fenomeno dei pensionamenti anticipati, limitandolo (al netto di quelli svincolati dal requisito anagrafico) ad “anticipi”, sulla falsariga dell’Ape o delle misure specifiche previste per i lavoratori cosiddetti “precoci”, con non meno di 64 anni (adeguati all’aspettativa di vita) e 38 anni di contribuzione. Nel caso del canale accessibile con 42 anni e 10 mesi di versamenti (“41+10” per le donne) dovrebbe essere consentito un massimo di 3 o 4 anni figurativi, escludendo quelli di maternità e di contribuzione volontaria.

Superbonus triennale per chi resta al lavoro fino a 71 anni

Un altro intervento caldeggiato è la reintroduzione del cosiddetto “superbonus” per chi volontariamente desidera lavorare fino ai 71 anni, consentendo di fruire del 33% di contributi al netto delle imposte in busta paga per tre anni. Sempre secondo Brambilla, visto l’alto numero di trattamenti di vecchiaia con pensioni a calcolo intorno ai 300 euro mese che richiedono l’integrazione al minimo e le maggiorazioni a carico della fiscalità generale, occorrerebbe prevedere (come originariamente indicato dalla legge Fornero) occorrerebbe garantire l’assegno a 67 anni solo se l’importo a calcolo risulta pari o superiore a 1,2 volte il valore dell’assegno sociale: nel caso in cui questa soglia non dovesse essere raggiunta, la “vecchiaia” diventerebbe accessibile a 71 anni, adeguati all’aspettativa di vita. E anche l’assegno sociale dovrebbe essere spostato a 70 anni. Il tutto dovrebbe essere accompagnato da una separazione delle voci assistenziali (con tanto di revisione totale dell’Isee) da quelle previdenziali.

Fonte: Il Sole 24 Ore