“Pepe”, l’ippopotamo di Pablo Escobar in un film sperimentale

“Pepe”, l’ippopotamo di Pablo Escobar in un film sperimentale

Non è affatto abituale trovare un film realmente sperimentale inserito in concorso in un festival del calibro della Berlinale: è successo quest’anno con “Pepe”, nuova pellicola del dominicano Nelson Carlos De Los Santos Arias, regista che si era fatto conoscere nel 2017 con il suo lavoro precedente, “Cocote”, presentato ai Festival di Locarno e di Toronto.

Con questa pellicola il regista alza l’asticella dell’ambizione, usando una forte immaginazione per raccontare una vicenda di fantasia che prende però spunto da un fatto di cronaca. Nel corso degli anni Ottanta il famigerato narcotrafficante Pablo Escobar fece arrivare clandestinamente dall’Africa un gruppo di ippopotami per farli vivere nella sua tenuta, l’Hacienda Nápoles.

Dopo la sua morte, nel 1993, gli animali iniziarono a diffondersi nella natura colombiana, creando una vera e propria colonia che ha messo in pericolo l’ecosistema del luogo, seminando il panico tra gli abitanti. Tra gli animali c’era Pepe, il primo e unico ippopotamo a essere ucciso in Sud America.Ancora nel 2023, la cronaca colombiana è tornata a parlare di questi ippopotami e il governo ha deciso di intervenire, attraverso la sterilizzazione e varie ipotesi su come poter contenere questa specie che non appartiene naturalmente alla fauna locale.

Partendo da queste basi d’attualità, Nelson Carlos De Los Santos Arias ha realizzato una pellicola che si apre facendoci sentire rumori e spari, come se fossimo all’interno di una battuta di caccia di cui non vediamo però nitidamente gli obbiettivi.In seguito iniziamo a sentire la voce interiore di un ippopotamo, che descriverà parte del suo viaggio durante la lunga narrazione del film: “Pepe” dura infatti circa 2 ore e per un prodotto di questo tipo è un minutaggio davvero consistente e decisamente eccessivo.

Spunti filosofici e momenti ridondanti

Seppur non ci sia una divisione effettiva, “Pepe” è un film costruito su una struttura bipartita, in cui da un lato seguiamo i pensieri dell’animale e dell’altro ci concentriamo sugli esseri umani, sulle loro colpe e le loro paure.Se la prima parte, in cui prendiamo spesso il punto di vista dell’ippopotamo, è estremamente suggestiva e forte anche di numerosi spunti filosofici, la seconda finisce per risultare più didascalica e ridondante.Visto il taglio dato all’operazione, Nelson Carlos De Los Santos Arias avrebbe potuto spingere ancora di più sul versante meditativo della vicenda, tralasciando altre parti più canoniche che finiscono per non aggiungere nulla alla visione.A ogni modo, resta un prodotto molto originale, che i selezionatori della Berlinale hanno coraggiosamente inserito nella competizione principale e che lascia spazio a diverse riflessioni importanti, oltre a regalare alcune sequenze visivamente splendide, tra cui svetta quella conclusiva.

Fonte: Il Sole 24 Ore